maggio 30, 2014

Una volta sono stato buono

Una volta sono stato buono. Sicuramente sono stato buono, una volta, almeno una volta.
Non ricordo l’anno con precisione, ma era tanto tempo fa, forse il 92, o il 93. Non ricordo con precisione ma il periodo più o meno, credo sia quello.
Era notte. Una notte d’estate. Visto che ho smesso di assumere stupefacenti nel 1999 posso dire che le probabilità che avessi fumato una decina di cannoni quel giorno siano alte. Quindi la situazione è questa: sono a casa con la mia ex moglie e con un amico, Michele. Questo amico adesso abita in Spagna e non ci vediamo da un sacco di tempo, ma sono sicuro che se gli chiedessi di testimoniare la veridicità di questo racconto potrebbe farlo, senza problemi.
Quindi è estate, è notte e siamo al tavolino di cucina, a fumare le canne o a gustarci gli effetti di quelle fumate in precedenza. Non esiste Facebook, non esiste Twitter, non c’è Sky, quindi, probabilmente stiamo parlando.
Visto che, quasi sicuramente mi sono gonfiato la testa di cannoni non avrò voglia di altro che fare lo scemo e non pensare a niente. Forse suono canzoni idiote con la chitarra folk.
La casa in cui siamo è una vecchia abitazione di campagna, costruita sui resti di una antica chiesa medioevale. Una casa molto antica, so che addirittura fu stazione di posta in epoca romana. 
Ci sono i fantasmi, mi hanno detto, e una volta li ho sentiti pure. Ma di questo racconterò in un’altra occasione.
La casa sta su una curva larga, una curva che se fosse rialzata sarebbe una parabolica perfetta, ma non lo è. Quindi, la notte, è solo una curva nel buio della campagna al termine di un rettilineo di tre chilometri. 
Questi chilometri dritti sono una specie di nassa per gli imbecilli del sabato sera, accade quasi ogni fine settimana che qualche imbecille a bordo di un’ auto troppo veloce e leggera arrivi alla curva dove sorge casa mia e mi si schianti, con un gran botto, nel muro di cinta. 
Prima che imparassi a memoria i ritmi di questo flusso migratorio di imbecilli avevo in uso di parcheggiare la macchina (e la mia macchina era sempre una Renault 4) fuori dal cancello, accanto al muro di cinta. 
Così capitava che l’imbecille del sabato sera si schiantasse contro la mia Renault 4, facendola a brandelli. Di solito le mie Renault 4 avevano un’età tra i dieci e i quindici anni e il valore di mercato del rottame si aggirava intorno alle trecentomila lire.
Tre Renault 4 vennero accartocciate in questo modo dagli Ayrton Senna del sabato sera, prima che io capissi che avrei dovuto costruire un cancello e parcheggiare la macchina oltre il muro di cinta e non all’esterno.
Se vi state chiedendo perché parlo di “imbecille” raccontando di povere vittime che si schiantano contro un muro di cemento, di notte, a 150 chilometri l’ora, dovete sapere che nessuno si è mai fatto male. Proprio niente. Una ginocchiata e tanta paura sono stati gli effetti più gravi.
Il mio muro era un muro benedetto. Ora lo so.
Ricordo l’ultimo ragazzo che mi si schiantò nel muro di cinta. Un urto fortissimo provocato dall’impatto di una Ford Fiesta. uscii di casa di corsa, trovai il pilota nell’auto accartocciata, lo aiutai a uscire e quando ebbi constatato che era sano e salvo, guardando lo stato in cui aveva ridotto la macchina gli chiesi, sinceramente curioso: ”scusa ma a quanto andavi?” e la sua risposta, naturalissima, che spense in me ogni residuo moto di pietà, fu, riporto letterale, in gergo pisano: “dè, a tutta.”
A tutta.
Potrei fare una lista degli incidenti se questo racconto parlasse di questo, ma parla della notte in cui fui buono. Perché almeno una volta lo fui.
Quella notte famosa stavo in casa con un amico e la mia ex moglie e sentimmo comunque uno schianto. Ma piccolo. Un rumore indefinito che venne sottolineato dall’abbaiare dei miei cani. Quell’abbaiare dei cani, se lo avessi messo nel traduttore di google avrebbe riportato: ”vi è qualcuno, un bipede, fuori dal cancello”.
Ma questa notte famosa ebbe luogo prima che Google e Facebook conquistassero i nostri cuori e le nostre anime ed ebbe luogo quando ancora non avevo capito che sarebbe stato meglio parcheggiare la Renault 4 all’interno del cortile e non all’esterno a far da guardrail alle Ford Fiesta che arrivavano “a tutta”. 
Quindi uscii di casa, afferrai pure un bastone, perché stare in campagna, isolati, è figo, ma fa anche paura a volte e se hai le braccia come due Baguette Tradition, come le mie, un bastone ti viene naturale.
Quindi esco con il bastone e una torcia. La torcia è una Maglite di quelle kingsize, nera. Quelle che usano i poliziotti americani. 
Illumino il cancello. Nessuno. State zitti cani. I cani abbaiano ancora. Apro il cancello. Illumino a destra, il culo della Renault 4, gli antichi fari posteriori mi rimandano il rosso della plastica. Mi sposto, si sposta il fascio di luce, sulla strada, una bicicletta stesa. Possibile che qualcuno sia arrivato in bicicletta “a tutta” e si sia schiantato contro la mia macchina? La luce scivola ancora sul terreno, qualcosa luccica, sassolini levigati, i fotoni della torcia incontrano la ruota della macchina, la fiancata, la portiera,  si arrampicano e scoprono due gambe con due piedi che spuntano dal finestrino del guidatore.
I sassolini levigati sono frammenti di vetro. I piedi si muovono piano, su e giù, come se il proprietario di quei piedi volesse camminare in orizzontale, su un piano immaginario perpendicolare al terreno.
Non so quanti di voi si sono mai trovati ad avere a che fare con uno sconosciuto piantato nel finestrino della propria macchina, di notte, in aperta campagna, casa isolata, ma è una cosa che fa un po’ paura. Intanto perché non si sa mai, in generale. Poi non si sa se quelle gambe sono le uniche, magari ce ne sono altre tre paia con sopra dei gropponi e dei braccioni attaccati. Quindi, quella notte, la notte in cui fui buono, per prima cosa feci il cattivo. La paura mi fece fare il cattivo e mi procurò in prestito il vocione impostato di mio padre per urlare “cosa fai?!”
Le gambe, si mossero di nuovo allora, probabilmente in qualche alfabeto di polpacci Morse da me non conosciuto. Comunque, le gambe non risposero. Per fortuna, non ne spuntarono altre dall’ombra della notte. 
Mi avvicinai ancora. 
C’era una persona attaccata a quelle gambe, aveva la testa sul sedile del passeggero e le braccia piegate in modo che lo rendevano inoffensivo. Insomma, non ho grandissima esperienza di combattimento uomo a uomo ma non credo che iniziare un match con la metà corpo infilato nel finestrino di una macchina sia una condizione vantaggiosa.
E poi, a quel punto, mi veniva da ridere. 
Non era una minaccia.

C’erano indizi che prima non avevo notato e li notai solo mentre le gambe si sfilavano e, aiutate da me e il mio amico, si ricomponevano sull’asfalto, dipanando un uomo.
Una maglietta bianca con taschino sul petto gli copriva la parte superiore, il tizio aveva battuto la testa e il sangue uscito dalla ferita quella maglietta aveva rovinato. Il taschino era gonfio.
Mandai uno sguardo all’interno dell’auto. C’erano frammenti del finestrino sul sedile e tra i pedali. C’era lo sportellino del bauletto aperto. Le sigarette che lo abitavano, un pacchetto di Marlboro, non c’erano più e facevano ora timida mostra di se nella semi trasparenza della maglietta dell’uomo, nel taschino.
Interrogatorio, bastone in mano: che cazzo fai? Perché eri piantato come un pesce nel mio finestrino? Sei ferito? Che cazzo hai fatto?
Sono caduto, la risposta. Guidavo la bicicletta e sono caduto e cadendo sono finito con la testa contro il finestrino. Sono ferito, guarda. 
Guardo. Perde sangue. 
Sono caduto.
E cadendo, la mano ti è finita sulla serratura del bauletto, l’ha aperto e ha fatto spuntare fuori le Marlboro che ti sono finite nella tasca della maglia, gli chiedo?
Si fa aggressivo. Che cazzo vuoi? Mi dice. 
Faccio un passo indietro e mi stabilizzo. Mazza di legno in mano. Ora lo guardo. L’uomo ha la mia età. Un forte accento napoletano. E’ male in arnese, la maglia non è solo sporca di sangue e i pantaloni sono laceri. La bicicletta, ancora svenuta sulla strada è monca e sbilenca, chiaramente rubata.
Intorno i grilli.
E’ un ladro. 
Realizzo: ho catturato un ladro. 
Un ladro evidentemente frastornato, forse ubriaco, forse ha preso degli psicofarmaci, conosco l’effetto, furono una moda nel mio gruppo di amici, in passato e il ladro è instabile, sulle gambe, in modo familiare.
Ho catturato un ladro. Non mi era mai successo.
Cosa si fa quando si cattura un ladro? Ci sono differenti opzioni, almeno nel caso di ladri catturati in una strada di notte, zona isolata, in provincia.
Basta frequentare il bar del paese perché ci sia qualche personaggio locale che illustri le opzioni possibili. Certo, tra le possibilità sentireste pronunciare la parola Polizia ma più frequentemente le tre parole “botta in testa” e “buca nel campo”. Al bar del paese sono fatti così.
Il sonno della ragione genera mostri ma lo stesso effetto può esser generato dall’avere palesemente ragione. 
Sei in casa, tranquillo, di notte e un ladro ti spacca il finestrino della macchina e ti ruba quello che c’è dentro (poco, in effetti) ma forse, se i cani non avessero abbaiato si sarebbe preso la macchina con tutte le ruote.
Quindi io ho ragione in quel momento, indiscutibilmente ragione. Ho una mazza di legno in mano e se gli allungassi una legnata, non dico da farlo svenire fare una buca e via dicendo secondo gli insegnamenti del bar, ma una legnata media. O un cazzotto. Se lo facessi, avrei quasi ragione.
Ecco, in questo preciso momento potrei dare un cazzotto ad un altro essere umano e, sostanzialmente essere comunque dalla parte della ragione. 
Quella stessa ragione potrebbe farsi pugno chiuso e colpo e nessuno potrebbe criticarmi più di tanto. Sì, forse qualcuno lo farebbe, qualcuno che non ha mai vissuto una situazione di ipotetico pericolo, ma gli altri, quelli del bar, che ne sanno, approverebbero, tutti. 
Approverebbero pure i carabinieri, se li chiamassi, dopo. Ne sono sicuro.
Ma quella è la notte in cui fui buono. Forse l’unica volta in vita mia in cui fui veramente e completamente buono, spingendomi fino a quel confine della bontà che molti identificano con la stupidità.
Quindi non porto un cazzotto e la mia attenzione si concentra sul sangue sulla maglia. Sulla ferita alla testa. 
Prendo l’uomo per un braccio. il mio amico Michele sembra deluso, secondo me avrebbe preferito la via del cazzotto. Ma io lo conduco fino al cancello, che quella ferita alla testa va controllata alla luce del bagno.
Ecco, mentre ci muoviamo l’uomo catturato gioca le carte che cambieranno la partita in modo da mettere alla prova il risultato finale. Perché il catturato non si comporta bene. Non riconosce la propria colpa, no. Non si sottomette. Mi insulta. Io lo porto a medicare e lui mi insulta.

La luce del neon della cucina gli definisce meglio le forme e disegna anche il viso stupito della mia ex moglie. Ho catturato un ladro, le dico. E’ ferito.
Così andiamo nel bagno e gli dico di farmi vedere la ferita e chiedo alla donna di casa se mi porta dell’acqua ossigenata.
Laviamo il sangue e la ferita. 
Mi insulta. 
Da dove vieni? Vaffanculo. 
E che stavi facendo qui? 
Che cazzo vuoi? Risponde.
Ok, vediamo quanto male ti sei fatto.
Poco.
Via la maglietta. Donna di casa portami una maglietta pulita. Una maglietta bianca, visto che indossava una maglietta bianca, non stravolgiamo i suoi gusti. Una maglietta bianca. Ce ne sono.
Sul tavolino di cucina, sotto la lampada al neon, c’è un Walkman. 
Non dimentichiamo che questa è una storia del passato, in quel passato esistevano i Walkman e non esistevano gli Smartphone.
L’uomo adesso è seduto su una sedia. Si guarda in giro. Ha gli occhi del malavitoso, le parole del malavitoso e si comporta come se fosse lui ad avere catturato tutti noi. Minaccia. Mi fa pena.
Chiedo di nuovo. 
Riesco a sapere che viene da Napoli. 
Gli chiedo cosa ci fa qui. Non risponde. Lo faccio da solo: Non ci fa un cazzo qui. Va in giro e ruba ed è talmente scemo che finisce infilato come un pesce nei finestrini delle Renault 4.
Non è un gran che come criminale, va detto e glielo dico. Lui fa il gesto della pistola con le dita e quella pistola fatta di indice e pollice cane mi punta addosso. Poi fa lo sparo con la bocca.
Mi hai mancato. Gli dico.
Lui aggiunge che uno come me a Napoli durerebbe dieci minuti. Mi spara di nuovo.
Ok.
Metti la maglia, falla finita.
Lo fa: infila la maglia. 
Vuoi un po’ d’acqua? Beve.
Sei catturato, fratello criminale. Sei ferito, anche se lievemente, e la tua pistola spara saliva dalle labbra. 
Sei prigioniero. Il tuo destino minimo è nelle mie mani. Sento il potere che questa situazione mi da. Potrei chiamare i carabinieri. Forse dovrei. Oppure potrei reagire ai toni strafottenti che l’uomo non sembra voler abbandonare e dargli una botta in testa e fare una buca. 
Perché dovrei stare qui a farmi trattare come un coglione da questo pezzo di merda?
Michele, il mio amico, guarda me e lui con un certo fastidio. Credo che se facessimo una votazione, in questo momento, un esempio ante litteram di democrazia dal basso, lui voterebbe per la buca.
Cosa guardi? Chiedo al ladro. Non perché mi voglia fare i cazzi della sua attenzione, ma ha lo sguardo fisso sul tavolino. 
Un gesto del mento. 
Guardi questo? Ora ho il Walkman in mano. 
Eh.
Lo guardo anch’io. C’è una cassetta dei Pink Floyd all’interno.
Pink Floyd, gli dico. Ti piacciono i Pink Floyd?
Annuisce.
Adesso ha le cuffie del Walkman alle orecchie la mia preda. Siede su una seggiola di legno alla luce al neon della mia cucina. Si sono fatte le tre di notte.
Non mi sente più. 
E non sente la mia ex moglie ed il mio amico. Così parliamo. Che ne facciamo di questo?
Ha spaccato il finestrino? Mi chiede la donna. Sì. Rispondo. 
E fa pure lo stronzo. Aggiunge l’amico. 
Lo so.
Chiamiamo i carabinieri? E’ la domanda.
Gli tolgo le cuffie dalle orecchie. Gli domando dove abita. Fa lo stronzo. Poi ripete Napoli. 
Perché non torni a casa? Gli dico. 
Non ha i soldi per il treno.
In quale quartiere abiti, a Napoli, chiedo, anche se in quel momento della mia vita a Napoli non ci ho mai messo piede e non ne so un cazzo di niente.

Scorrono i campi che aspettano di riempirsi di granturco, sotto la luna.
Sono le quattro. 
La Renault 4 viaggia in senso contrario sul rettilineo usato dai giovanotti della zona per andare “a tutta”. Io guido. Il mio amico Michele sta sul sedile del passeggero e appare contrariato: Tu sei di fuori, mi dice.
Sul sedile posteriore della Renault 4 c’è un ladro con una maglietta bianca nuova nuova, in mano ha un Walkman di bassa qualità, sulla testa un paio di cuffie di bassa qualità e nelle orecchie una musica di ottima qualità. E lui, lo vedo dallo specchietto, muove la testa a ritmo, piano. 
Quando incrocia i miei occhi, nel retrovisore, rimette la faccia sprezzante e mi spara di nuovo.

La stazione è deserta. 
Questa è una storia avvenuta tanti anni fa e la stazione è la stazione di una tranquilla cittadina di provincia e le bande di tunisini che spacciano e si prendono a bottigliate a tutte le ore non sono ancora arrivate.
C’è un treno per Napoli. Non ricordo quanto costa il biglietto ma so che lo pago.
Avrai fame durante il viaggio. Lo vuoi un panino? Annuisce. 
E adesso siamo al binario. Lui sta per salire sul treno e quando gli allungo cinquantamila lire per non tornare senza un cazzo fino a casa il suo atteggiamento da guappo indomito sembra, anche se per un momento, vacillare. Mi guarda in modo diverso, per una frazione di secondo, ma lo fa. E’ stupito. Qualcosa si è incrinato, in questa notte, nel suo metodo di ragionamento.
Sono sicuro che fosse preparato ad essere catturato. Sei preparato a questo quando sei un ladro. Credo che fosse pure pronto a prendersi un po’ di cazzotti, una bastonata. Chissà quante volte le ha prese. Ha la faccia da pugile di strada.
Ma stanotte le cose sono andate diversamente.
E’ stato curato, rivestito, oggetto di doni. Ha la musica nelle orecchie. Cinquantamila lire, un regalo pure questo, nelle tasche.
E’ così che sale sul treno per Napoli.
Fai a modino, sono le mie ultime parole. 
In risposta ricevo l’ennesimo dito pistola puntato al viso. Ma non apre il fuoco questa volta. Fa “clic”, con la bocca. 
E la bocca, forse perché non l’ha controllata abbastanza, fa una piega di sorriso.
Michele ed io rientriamo alla base.  
Non parliamo.
Mi sento da Dio. Anzi, mi sento da figlio di Dio. 
Come diceva quello?

La notte si schiarisce intorno e Michele borbotta un “mah..” che contiene un sacco di cose.
Io nella mia fantasia sono a Secondigliano, dieci anni dopo. Sono stato catturato da un boss della camorra (non so perché, la mia immaginazione non arriva a tanto) sono stato condannato a morte. Arriva il killer che dovrà eseguire. Ha una maglietta bianca. “Fermi, questo lo conosco. E’ nu bravo guaglione” dice.









maggio 24, 2014

Mass Effect 3 o cosa votare alle europee

Da quel che ho capito, perché la situazione è complessa, i Razziatori sono una razza aliena che ha come unico scopo e principio di sollazzo la distruzione di ogni forma di vita nella galassia.
La galassia della quale stiamo parlando, amici, è proprio la nostra. 
Non c’è di che dormire tranquilli. 
Per la precisione, va ricordato che il Comandante Shepard aveva già avvisato il Consiglio della Cittadella che i Razziatori sarebbero potuti arrivare nella nostra galassia (sì, proprio la nostra quella che ospita il nostro sole e il suo tenerissimo e minuscolo sistema solare) ma nessuno lo aveva ascoltato. O almeno, nessuno lo aveva ascoltato a dovere.
Adesso quindi che accade?
I Razziatori, improvvisi, velocissimi e letali sono arrivati addirittura sulla Terra e il comandante Shepard, a bordo della nave spaziale Normandy parte per una missione difficilissima: riunire le diverse specie aliene della galassia per combattere, tutti insieme, la minaccia dei Razziatori. 

Mentre lo fa i Razziatori infilano i loro artigli meccanici nella Terra e la fanno a brandelli.

Sto giocando a Mass Effect 3, nella versione per Xbox. 
In passato ho giocato a Mass Effect 1 e Mass Effect 2 e li ho finiti entrambi. 
Non è una cosa comune finire un gioco, spesso ci si rompe i coglioni a metà o esce qualche novità che ti distrae, ma i primi due Mass Effect li ho terminati entrambi, e non senza una certa soddisfazione.
Adesso sono a metà della storia del terzo capitolo.
Domenica ci sono le elezioni europee ma è pure domenica e, in teoria, uno potrebbe non lavorare e fare il cazzo che gli pare tutto il giorno.
Nel mio caso questa condizione coinciderebbe con il viaggiare a bordo della Normandy e combattere i Razziatori.
Però ci sono le elezioni europee ed è successa una cosa che mi ha gelato il sangue. 
Mi hanno detto che, in quanto personaggino pubblico, potrei, con una mia dichiarazione di voto, influenzare un certo numero di indecisi. 
Non so quanto sia grande questo numero ma se fosse, ad esempio, uguale a 3, sarei già preoccupato. Certo, una parte di me, essendo sempre stato una nullità, ne gode segretamente e rimugina strategie per aumentare la popolarità e far crescere quel numero 3. L’altra parte invece, immagina che così facendo un giorno potrei trasformarsi in Scanzi e raggela.
Molti mi hanno chiesto per chi voterò domenica. Mi è stato anche chiesto di supportare uno schieramento. Di “dare una mano” o offrire visibilità. Evidentemente quei 3 che potrei influenzare sono ritenuti un bottino prezioso.
Domenica ci sono le elezioni e nel frattempo c’è la minaccia dei Razziatori. 
Giocare all’Xbox in età avanzata è molto bello, perché puoi farlo sul divano. E’ come guardare la televisione, una attività da anziani, ma con una maggiore partecipazione. 
Ieri, per esempio, ho scelto di non perpetrare la genofagia ai danni dei Krogan, e i Salarians, che quella genofagia avevano progettato e messo in atto, non l’hanno presa bene.
Certo, hanno le loro ragioni, i Krogan vivono secondo un codice guerriero. Concepiscono solo la forza come strumento per la risoluzione dei conflitti e hanno aspirazioni di dominio e di vendetta sull’intera galassia. Per questo i Salarian applicarono la genofagia, un terribile sistema che portò le femmine Krogan alla sterilità, impedendo, di conseguenza, che la razza Krogan potesse continuare a procreare ed espandersi.

Ieri, come ho detto, nei panni del Comandante Shepard ho dovuto scegliere se curare o meno la genofagia. Ho scelto di curarla, perché penso che tutti abbiano diritto alla propria libertà. L’ho fatto nella speranza che questo gesto, comunque, potesse scuotere l’animo guerriero dei capi Krogan e li portasse a vedere le altre razze (ad esempio noi umani) con un occhio diverso. Un gesto di compassione che spero possa dare, un giorno, buoni frutti.

I Salarians, come ho detto, non l’hanno presa bene. Pensano che, anche se dettata dalla necessità di avere i Krogan al nostro fianco, nella battaglia contro i Razziatori, aver curato la genofagia possa rivelarsi, a lungo termine, un gesto con conseguenze disastrose.
Se anche riuscissimo a sconfiggere i Razziatori, cosa faranno i Krogan? Riprenderanno le loro mire espansionistiche? Dirigeranno le loro flotte e i loro guerrieri sanguinari e inarrestabili contro qualche sistema dell’alleanza?
Né io, nei panni del comandante Shepard, né i governanti Salarians abbiamo una risposta a questa domanda. Ma ci sono i Razziatori. Questo è il problema del momento, e i Razziatori non si fermeranno. Con i razziatori non si tratta. Le altre razze sono, per loro, insetti da schiacciare.
E’ una guerra, quella che sta sconvolgendo la galassia, dalla quale potremmo uscire sconfitti. 
E sconfitti, in questo caso significherebbe cancellati dalla storia.

Questo non c’entra molto, ma penso che quello che accadde miliardi di anni fa, con il big bang, accade ogni volta che accendo l’Xbox. L’energia improvvisa porta la vita, genera immagini e storie, dà vita a personaggi che agiscono, parlano, si muovono. Quando smetto di giocare ho sempre un momento di disagio prima di spegnere l’interruttore che tutti quei colori e quella vita riporterà nell’oblio della non esistenza e a volte, addirittura, non lo faccio. A volte spengo solo la tv. Lo schermo diventa nero ma il Comandante Shepard, con la sua nave, il suo equipaggio, restano in vita, anche se immobili, sospesi, in pausa, non scompaiono davvero, solo alla vista, celati dietro il velo opaco dello schermo tv. La luce verde dell’Xbox nel mobile, poco sotto, mi ricorda che sono ancora in vita.
Spero che Dio si ponga problemi simili, ogni volta che il suo pollicione divino si avvicina all’interruttorone divino che regola la nostra esistenza.
Non premere quel pulsantone Dio, noi siamo qui, viviamo. Anche se per te, oh dio, la nostra vita appare come insignificante giochino pomeridiano, per noi è la vita vera, la nostra esistenza. Non ci spegnere Dio, ti prego.

Domani ci sono le elezioni europee e in molti mi hanno chiesto per quale schieramento andrò a votare. Credo che ci siano, in questo momento, 3 persone che stanno seriamente aspettando questa mia dichiarazione.
So solo cosa non voterò: Non voterò M5s perché mi fanno paura. Perché dividono il mondo in due. Lo dividono in “noi” e “loro” e questo per me è inaccettabile. Non lo voterò perché non credo alla purezza e perché non riesco a ragionare per semplificazioni, facendo del fare di tutta l’erba un fascio un sistema di pensiero. Ci sono altri seimila motivi ma lasciamoli stare.
Credo di essere di destra.
Mia sorella, ogni volta che le dico che sono di destra, perché mi sembra naturale a quest’età e con il lavoro da privilegiato che faccio, essere di destra, inizia sempre a farmi un sacco di domande. Domande sull’economia, sui diritti civili, sul rispetto delle minoranze, sulla salvaguardia delle fasce più deboli della popolazione, sulla sanità, sulla scuola, e quando ho risposto a tutto mi dice: “lo vedi che sei di sinistra!”. Io allora le rispondo che non sono di sinistra ma appartengo ad una destra illuminata che in Italia non ha rappresentanza alcuna e lei allora chiude ridendo e dicendo “ma vai in culo, scemo!”. Mia sorella, sicuramente non aspetta di sapere che cosa voterò perché sa molte più cose di me e quindi credo, piuttosto, che annoveri me tra le 3 persone che con la propria decisione di voto potrebbe influenzare. Probabilmente è così.
Poi cosa abbiamo?
Berlusconi e i suoi. Per questo bastano tre lettere: LOL.
Tsipras. 
A parte che non riuscirei a votare una lista che preclude la pronuncia del nome a chi ha problemi di zeppa o lisca, discriminando quindi una grossa fetta di popolazione (immaginate Jovanotti che dice “Tsipras”?) ci sono altri aspetti che non mi piacciono. la questione dei capi lista che, se votati, lasceranno il posto ai secondi, facendosi da parte dopo aver avuto la funzione di richiamo per gli elettori non mi sembra una bella cosa. e poi io sono di destra, no, forse sono di centro. Ecco, credo di essere di centro, un po’ come il Comandante Shepard, credo che anche lui sia di centro, in questo suo viaggiare per la galassia cercando di costruire un’alleanza con il maggior numero di razze possibile.
Mi sa che sono di centro. Sarebbe naturale. Si nasce incendiari e si muore pompieri. Credo che le spaccature nette che hanno accompagnato gli ultimi venti anni della storia politica del nostro paese abbiano generato danni gravissimi. Penso che si dovrebbe cercare una pacificazione, diventare una nazione che non sia sempre in guerra permanente e bla bla bla. Sono di centro. Cazzo. E’ orribile.

Quindi, essendo di centro dovrei andare, come mi ha suggerito questa mattina un caro amico, prendendomi per il culo, dovrei andare a votare Casini. UDC. 
No, va bene, non scherziamo. Se deve essere così, che vengano pure i Razziatori, che dio apponga il suo pollicione a quel gigantesco Xbox che è il nostro universo e mi faccia sparire con tutto quello che conosco.
Mi resta il PD. Piango. Perché piango? Non lo so, ma piango piano piano. 
Mi chiedo allora: cosa farebbe Shepard?
Potrebbe fregarsene, Shepard? Potrebbe girare l’astronave e fottersene della galassia, scivolare nell’iperspazio di cancello interstellare in cancello interstellare, lontano. Lontano dai razziatori, dalla Terra, dai dominii dei Krogan, dai sistemi governati dai Salarian e dai Turian. Via, lontano, fin dove le stelle si spengono e parcheggiare là, nel buio, la propria nave ed aspettare, quieto.
Aspettare cosa?
Parlando con altri amici e giocando al cinismo ci siamo detti: “andiamo a votare M5s acceleriamo la fine e poi, da privilegiati quali siamo, sediamoci sulla collina a guardare”.
Oppure no, andiamo a votare Silvio. In un imprevedibile gesto dadaista.
Io ho proposto di salvare con nome la situazione del paese, prima di fare una delle due cose. 
Salviamo con nome, poi li votiamo, li facciamo governare e poi, se dopo vent'anni c’è rimasto solo un cumulo di macerie, riprendiamo il salvataggio vecchio e ricominciamo in un’altra direzione.
Ma non esiste nessun comando “salva con nome” nella realtà. 
Quindi cosa voterò, cari 3 amici che siete arrivati fin qui sperando in una indicazione congrua?
Forse resterò a giocare all’Xbox, perché sono un privilegiato con un lavoro e che può permettersi di sbattersene le palle degli altri.
Certo mi piacerebbe vedere il mio paese in uno stato di pace. Vorrei sentire discutere delle soluzioni da prendere in un momento di crisi tanto terribile. Mi piacerebbe sentir parlare di immigrazione in termini realistici, ed anche di benessere in termini realistici. Mi piacerebbe sentire che quello che sta accadendo era inevitabile, che non si può essere privilegiati per sempre, con più della metà del mondo che se la passa di merda e tu che giochi a fare l’occidentale con milioni di privilegi. C’era un conto da pagare, forse dovremmo capire come pagarlo senza farci troppo male. 

Nei sogni che faccio quando sono parcheggiato nell’astronave, nei panni del Comandante Shepard, ai confini dell’universo conosciuto, a volte penso a questo. Vorrei un governo che non spinga a generare conflitti ma che punti a stemperarli, che unisca e non divida, che non offra un futuro di tribunali del popolo ma di Giustizia uguale per tutti, con delle regole democratiche, senza una leadership inamovibile ed autoproclamata, che rispetti le regole costituzionali e allo stesso tempo pensi a come rendere più moderna ed attuale proprio quella costituzione, perché non sia solo un altro dei tanti feticci da adorare, stando fuori dalla contemporaneità.
Ecco. Questo penso, a volte. Almeno quando non ho il grilletto sul fucile Laser e sono al sicuro nella mia cabina di comandante della Normandy, nello spazio interstellare.
Così, adesso, a quei 3 amici che stanno aspettando il mio consiglio chiedo: 
Avete qualche consiglio da darmi?