Diario di getto con fotografie.
Sono seduto sulle poltroncine della premiazione.
Sono in una chiesa barocca, con dipinti e statue. Guardo i dipinti alle pareti e penso alla pittura del settecento ed alla piccolezza del mio lavoro, mi sento un microbo.
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Accanto a me, sulla sinistra, c'è Paul Karasic.
Ci siamo conosciuti allo stand, lavorando accanto.
Abbiamo fatto amicizia.
Lui è uno scrittore e sceneggiatore di fumetti americano.
E' a Lucca per presentare il volume "Città di vetro", dal romanzo di Paul Auster, con i disegni di Mazzucchelli.
Per un anno insegnerà alla scuola di comics di Firenze.
Sul sedile destro c'è Matt Broersma, viene dal Texas, ma vive in Inghilterra.
Ci siamo conosciuti ad Angouleme, io e Matt, e poi siamo diventati amici via mail, cercando di risolvere insieme alcuni problemi legati alla scansione di disegni e al trattamento dei toni. Roba da disegnatori alle prese con le macchine.
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Sono due autori americani, sono simpatici. Io non ho mai fatto amicizia con un americano in vita mia. Questa è la mia prima volta. Sono contento di scherzare con loro , ho l'impressione che abbiamo un umorismo simile. Penso a Bush e, se è possibile, ne percepisco ancor di più l'essenza aliena. Inevitabilmente mi ritrovo a pensare anche a Berlusconi e concludo che dagli alieni siamo dominati da tempo.
A Berlusconi ci penso perchè mentre cerco di resistere al sonno, nella mia poltroncina, sul palco delle premiazioni si sta presentando la nuova "sigla" di Lucca Comics.
E' una musica terribile con un testo infantile. Vorrei avere il testo da postare qui, non lo ricordo. Mi viene a mente solo una rima difficile con Cosplayer.
Sono imbarazzato, i miei nuovi amici americani mi guardano e mi prendono in giro.
Penso a Berlusconi anche perchè, mentre la sigla si riverbera nello spazio aperto della chiesa, su un monitor gigante stanno passando le immagini della fiera. Sono immagini prese durante i primi tre giorni della manifestazione e ne sottolineano la giocosità e l'allegria.
In alcune delle scene vediamo il ministro Altero Matteoli che incuriosito tocchicchia dei giornalini. In un'altra (ma questa immagine non mi fa pensare a Berlusconi) c'è Giobbe Covatta.
Riappare Matteoli. Ora so che sono fotografie scattate il giorno dell'inaugurazione.
Mi allungo verso Paul Karasic e gli spiego che quello nella foto è un ministro ex fascista del governo Berlusconi.
Giacomo Nanni vince un premio per la migliore storia breve.
Un libro che non conosco: Palle di toro, vince invece il premio come miglior volume.
A me va il riconoscimento per il miglior Autore Unico.
Salgo sul palco e sono imbarazzato. Ho un paio di doveri. Devo ringraziare chi mi ha aiutato a fare i libri in questi ultimi anni: Lucia, Igort e la Coconino.
Dedico il premio a mio padre, con il quale ho scritto l'ultimo libro, dico.
I premianti non sanno che mio padre è morto prima che iniziassi a lavorarci e la dedica in questa forma non imbarazza nessuno e fa venire i lucciconi solo a me.
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Il premio è un piatto di vetro, rotondo, con una fata biomeccanica, disegnata dal mio amico Simone Bianchi, stampata sopra. Quando torno a sedere tutti mi prendono in giro per il piatto, io fingo di avere forchetta e coltello e mangio un involtino invisibile.
Il festival è cominciato tre giorni prima.
Per una volta, dopo tre anni di pioggia, il sole illumina la fiera. Fa caldo. Sembra primavera.
All'interno dei tendoni la temperatura è insopportabile.
L'umidità si avvicina a quella della giungla amazzonica.
Sopra agli stand,sono stati appesi dei teli di nylon, per evitare che la condensa cada sui libri e sulla testa di chi sta sotto.
Non si respira.
Accanto allo stand Coconino c'è una postazione della Playstation 2.
C'è un gioco in carica che non si ferma mai: Un quiz musicale. Deve essere divertente. Si gioca in quattro, ci sono dei grandi cuscini grigi davanti a due schermi al plasma. I ragazzi si accalcano e si sfidano nel quiz, stando sui comodi cuscini. Li invidio. Vorrei giocare anch'io. Il volume della macchina, d'altronde, è talmente alto che imparo tutti i brani a memoria, ed anche le frasi dell'automa digitale che conduce il gioco e premia e sgrida i concorrenti.
Per la prima volta ho in mano il libro nuovo. Mi piace, mi sembra un tantino scuro, ma qui allo stand c'è poca luce. C'è poca luce. Pochissima.
Mentre disegnamo perdiamo diottrie. I mal di testa non mancheranno. Staremo male io, Igort, Lucia, Craig Thompson...
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Va bene. Stiamo a lavorare. Io ho questa visione da samurai. In questi giorni si lavora. Ci si lamenta il meno possibile e si fanno le dediche. Coconino è una piccola casa editrice e, anche se le cose vanno molto bene, fare tante dediche è importante.
Lavoro molto accanto a Igort e ci sto bene, come sempre.
Massima dedizione allo Shogun.
Se volete allevarvi un figlio samurai, riempitelo di sensi di colpa, una volta cresciuto farà tutto quello che vorrete. Sarà un gran lavoratore.
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Parliamo di lavoratori.
C'è Marco Corona con il nuovo bellissimo volume e Matt con il suo Insomnia ed Elfo con un volume composto da storie di una pagina e Sergio Ponchione con il quale scoprirò una comune deriva Zappiana e Piero Macola, l'ultras più buono del mondo e Craig Thompson e Igort e Paul Karasic con Città di vetro di Auster e Mazzucchelli e Davide Toffolo, con il suo gorilla bianco accanto.
I loro libri (escludendo quello di Marco che ho già mangiato) saranno le mie letture di questi giorni.
Smetto di disegnare solo per fare incontri e interviste. Mi scopro serio. Ho imparato a dire le cose senza agitarmi troppo, almeno nelle interviste video. Mi dico che sto invecchiando e raffreddando e mi spavento.
Nelle interviste video riesco a prendere fiato. Penso la risposta. La dico nel modo (per me) più chiaro possibile.
Mi sembra di essere divenuto "posato".
Mi rifaccio in uno show case, l'ultimo giorno. Ho un mal di testa stranissimo, che mi parte dalla base del collo e mi da la nausea. La mia faccia sdentata viene proiettata su dei monitor giganti. Devo disegnare e parlare e questo è molto difficile. All'incontro il pubblico è numeroso. Un tecnico mi ha messo un auricolare/microfono uguale a quello che usano i fonici de "L'isola dei famosi".
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Alcuni minuti prima dello Show Case incontro la persona che condurrà la sessione. Lo avverto che ho la mania di dire la verità, quando parlo del lavoro. Lo avviso in tutti i modi possibili. E' una persona gentile e non voglio metterlo in imbarazzo. Mi parla del premio che ho ricevuto. Gli dico che se ne può parlare ma che le cose potrebbero non essere tutte rose e fiori.
Lui è gentile e mi sorride e vuole che parliamo della tecnica che ho usato nei disegni. Io rispondo che la tecnica non è importante e che vorrei parlare d'altro ma che esistono probabilità che possa dire cose spiacevoli per qualcuno.
Lui sorride, è gentile ed è abituato ad incontri tranquilli. Non mi prende sul serio.
Io ho paura che lui mi chieda del premio e del festival.
Lo fa.
Durante l'incontro mi parla del premio. Mi dice che sono contento. Non lo chiede, lo afferma, perchè lo ritiene naturale.
Io invece non sono contento e non lo nascondo.
Ho vinto il premio come Autore Unico e , secondo me, questo non significa niente.
Se vogliono premiare me, gli dico, diano un premio ad un mio libro. Io sono lì dentro. Quello che sta al di fuori non è certo da premiare in alcun modo.
Dico anche che questo premio mi sembra una forzata dimostrazione di attenzione verso un fumetto "diverso".
Ma non c'è convinzione, in questa attenzione, e secondo me si vede lontano un chilometro.
Mi viene chiesto cosa penso del festival.
Io penso che la verità ti rende libero e quindi rispondo che non mi piace. Che trovo che la commistione tra giochi e racconti a fumetti sia un delirio.
In realtà, mi rendo conto che sto esagerando. E' l'unione tra giochi ed un certo tipo di fumetto che non sta in piedi. Così giro sulla questione e racconto ad un pubblico che appare adesso abbastanza stranito, le mie difficoltà nel raccontare il mio mestiere.
La vecchia storia dei personaggi e dei paperi.
"Che lavoro fai?"
"Faccio storie a fumetti"
"Ah si?, che personaggio disegni?"
Auspico un avvicinamento del "mio" tipo di fumetto alla letteratura.
Non mi importa niente dei vari Mister Qualcosa e Maximilian Shit vari, non è il mio mondo. mi interessa il mio lavoro. Non attacco nessuno. ognuno stia dove vuole.
Sottolineo che in Francia questo avvicinamento alla letteratura c'è già. Ricordo all'intervistatore che i miei due volumi precedenti sono usiciti in Francia con degli editori di letteratura. Immagino un futuro in cui parlare dei libri senza la PS2 nelle orecchie, per dirla in modo semplie.
Sbaglio.
Me ne accorgo mentre parlo. Sono a Lucca Comics&Games. Sono il rappresentante debole di una minoranza debole. Mi guardo intorno, butto lo sguardo sugli stand vicini e riconosco le sagome muscolose dei vari eroi fantastici.
E mi parte la seconda polpetta.
Ora parlo della necessità di affondare il racconto nella realtà, in un mondo che (secondo me) te ne spinge fuori, con forza. E poi proprio della forza parlo ora, della mia propensione alla debolezza e finisco ad attaccare pure il concetto di mascolinità che vedo rappresentato in questi eroi armati fino ai denti, e mi accorgo che sto passando per matto.
Ma ormai ci sono. Descrivo il mio modo di rappresentare i personaggi femminili, del motivo per cui non ho voluto farlo fino ad ora, fin quando non sono stato sicuro di poter disegnare "male" anche le donne. Senza un metro diverso da quello che uso per i caratteri maschili.
Vedo che c'è tanta gente intorno e penso che sia per un effetto simile a quello che fanno i predicatori pazzi nei parchi americani.
Sono in piedi, su un mattone e faccio proclami. Il mio intervistatore è sempre più in difficoltà. Vorrei fermarmi e dirgli che gli voglio bene e che sono solo posseduto da un demone che parla al posto mio ma già sto attaccando la giunta lucchese. Ricordo ai presenti (eravamo finiti a parlare di nazisti) che il sindaco Fazzi ha voluto concedere una sede a quegli scalmanati di Forza Nuova.
Insomma, se volete consigli su come rovinarsi una carriera, chiamatemi pure.
L'ultimo giorno a Lucca è il più faticoso. faccio l'ultima dedica mentre lo stand viene smontato, seduto per terra. La faccio ad una coppia di ragazzi molto gentili. Hanno comprato due libri miei mentre lo stand chiudeva, li ho notati gironzolare senza avere il coraggio di domandare un ultimo disegno.
Credo anche che sia venuto bene. Mi sembravano contenti, e lo ero anch'io.
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Nella poltroncina, prima del premio, viene assegnato un premio strano, alla Playstation 2, mi sembra, oppure all'Xbox. Non ho capito, perchè sono davvero stanchissimo.
A presentare questi strani premi per i giochi ci sono dei giovani molto lucidi che non posso trattenermi dall'immaginare futuri assessori.
Paul, alla mia sinistra, ride e si sorprende. Ride ai nomi americani dei giochi italiani premiati. Matt, alla mia destra, ride. Dice che tutti quelli sul palco sono cosplayer travestiti da premiati o da premianti.
Lo sarò anch'io, pochi minuti dopo.