gennaio 23, 2007

Di S. dicono

Dopo la pubblicazione di S. ho ricevuto tante lettere private.
Molte erano commoventi e bellissime.
Spesso ho risposto scrivendo che la lettera era migliore del libro. Quando l'ho fatto era vero.
Ora, le lettere private non si possono pubblicare in queste pagine, sarebbe da assassini. Ma Francesca Rimondi sulle pagine di Studiogradozero ha scritto in pubblica forma e quindi mi permetto di agganciare le sue pagine alle mie. Ringraziandola da qui.

Questa invece non è una lettera, ma una bella recensione pubblicata su comicus.
E' a firma di Nadia Rosso. Ringrazio anche lei.

gennaio 18, 2007

Stete magnende?

Non ho davvero alcun titolo per parlarne,ma mi viene chiesto, e lo farò cercando di stare in un binario decente.
Se qualcuno ha una vera curiosità nei confronti di Pazienza, si legga le cose scritte da chi lo ha conosciuto davvero: Filippo Scozzari.
Io posso solo raccontare un ricordo minutissimo, anche se fondamentale, per la mia crescita.

Ho incontrato Andrea Pazienza quando avevo diciotto anni, forse diciannove, non lo ricordo con precisione.
Ero un ragazzino allora, passavo le giornate sulla panchina di un giardino pubblico con i miei amici di sempre. Passavamo il tempo sputando, facendoci tagli con le lamette, giocando a suonare e frequentando con passione ogni maledetta sostanza alterante.

Leggevo le storie di Pazienza e avevo l'impressione che parlassero di noi. Di me e dei miei amici intendo. Facevamo le stesse cose che venivano raccontate nelle storie. A volte le anticipavamo pure, altre volte le riproducevamo, e c'era una certa stupida fierezza nel "sentirsi raccontati" nelle storie più truci.

Quando disegnavo, in quegli anni, disegnavo come lui, ma male. E quando provavo a scrivere, scrivevo come lui, ma malissimo.

Un giorno, dopo che la mia prima fidanzata vera mi aveva lasciato, seppi che Pazienza teneva un corso di fumetto, alla "Libera università di Alcatraz", a casa di Jacopo Fo, in umbria.
I miei genitori mi dettero i soldi per il corso. Costava parecchio, probabilmente era una truffa, ma pure dalle truffe si può imparare se si ha una buona predisposizione. Comunque sia, quella truffa contribuì in modo determinante a farmi diventare un disegnatore di storie.

Sopratutto, in quei giorni, al corso, conobbi i miei disegnatori amati. Pazienza, in testa, e poi Scozzari, e Munoz e Vincino e altri.
Incontrare dei disegnatori "veri" per me che venivo dalla mia panchina tra gli sputi fu una rivelazione.
Esistevano persone che erano davvero dei disegnatori. Gente che viveva di storie da disegnare e raccontare. Esisteva quella forma di vita. Era possibile.
Ora sembra una stupidaggine, ma questa specie di verbo in carne fu per me una vera illuminazione.

I ricordi sono confusi poi. Lontanissimi.
Mi resta in mente il fascino di Pazienza quando parlava e la paura che mi faceva Scozzari mentre girava intorno al tavolo.
Ricordo i discorsi sulle droghe e questa cretina vicinanza che alcune sostanze mi parevano darci.

E poi ero piccoletto. Non riuscivo a spiccicare più di due parole in fila. Non avevo uno stile, non avevo tecnica e non avevo talento.
Ero sempre in imbarazzo. Le cose che Pazienza diceva le mettevo nella memoria e le ripetevo dentro di me, per non dimenticarle.
Lo vidi disegnare e rimasi di sasso.
Mi ricordo anche Scozzari che voleva farci scrivere con il pennello e la china. Io non riuscivo neppure a tenerlo in mano, il pennello, figuriamoci a scrivere.
Ricordo anche il giorno (mille anni dopo) in cui mi ritrovai a scrivere correntemente con il mio W&N serie 7 numero 4. E il sorrisino furbino che feci e il ringraziamento interno e privato che telepaticamente inviai a F.S.

Insomma, allora ero piccolino. Mi ricordo che al corso passai tanto tempo in una macchina con una ragazza molto più grande di me, pensando che mi piaceva molto ma che era TROPPO più grande di me e ricordo che ci litigai, le detti una spinta e si ruppe un braccio e mi sovviene che, stupidamente, tutto questo mi appariva perfettamente accordato con l'essere un disegnatore da due lire e un mezzo drogadicto.
Non so se a diciotto anni si è scemi per forza. Forse no. Comunque, io lo ero.

Pazienza lo incontrai una seconda volta a Lucca. Lucca comics.
Ero nel bagno. Ero stato a guardarlo disegnare allo stand, di nascosto, senza trovare il coraggio di farmi avanti e dirgli "ehi, sono quello di Alcatraz, il drogadicto con cui parlasti di droghe pesanti e andasti in giro in macchina". Ma non lo feci.
Andai al bagno e quando stavo per uscire lo incrociai mentre entrava.
Mi riconobbe e mi salutò (ed è buffo che lo ricordi ancora) e mi chiese se ero andato a "farmi" nel bagno. Risposi di no. Che ero diventato buono.
Non era vero. Ma lo sarebbe stato, più avanti.

Il suo modo di scrivere e di disegnare fu una maledizione per me, per tanti anni. Non riuscivo a staccarmi. Poi successe. Non so nemmeno come, probabilmente a un certo punto me ne sono fregato. Dello stile intendo. La voglia di disegnare e raccontare deve avere avuto il sopravvento sui pensieri e sui desideri. Credo che sia andata così.

In una intervista video recente dissi che Pazienza aveva rotto il cazzo.
Usai proprio questa espressione antipatica.
Pensavo che dovevo usarla, che era necessario per trovare altre parole e per guardare avanti, che è una cosa obbligatoria per i bipedi.
Era un momento in cui Andrea Pazienza (il nome, sopratutto, non il lavoro) veniva usato da un sacco di coglioni nostalgici degli anni settanta, e da ex teste di minchia della "lotta armata" che si erano impropriamente sentiti "cantati"da A.P.
E c'era pure tanta gente che seguendo un onda nuova se ne faceva amico e portavoce.
Insomma, c'era da stare da un'altra parte, anche con parole a sproposito, secondo me.

Un anno fa ho visto delle tavole di Pazienza ad una mostra, a Cremona. Accanto a me c'era Paolo Interdonato. Ho visto questi bei disegni a pennarello ed erano bei disegni a pennarello di tanti anni fa e sembravano fatti da un ragazzino.
Era così, infatti. Erano i disegni di un ragazzino. I nasi avevano le forme che si disegnano da ragazzi. E pure le ombre erano quelle.
Io ero un quarantenne che guardava i disegni di un ragazzino che non c'era più.
Mi sono arrabbiato e poi commosso.
E poi (come sempre) ho pensato alle parole di Bill Pilgrim : "così è la vita" mi sono detto. Ho tirato su col naso e sono uscito.
E Bill, come tutti sappiamo, ha sempre ragione.

Ora non so cosa resta del disegno di Pazienza nel mio disegno. Niente, mi viene da dire.
E anche la scrittura, è cambiata così tanto. Ed è cambiato il mondo, e assai.
Spesso mi dico che se lui non avesse fatto quello che ha fatto, nel racconto e nel disegno, io non avrei scritto una sola riga.
Ma come si fa ad esserne sicuri? Ed è importante, alla fine?

A volte, quando incontro il mio amico più caro, e lo vedo mangiare, gli domando:
"stete magnende giovanotte?".

gennaio 14, 2007

Non solo il furbo


Non solo il furbo faccio. Non solo musiche e interviste stilose.
Ieri disegnai questo disegno per Repubblica. Oggi fu pubblicato in gran formato e ottima stampa.
Accompagnava un articolo di Giorgio Bocca sugli omicidi di Erba.

gennaio 12, 2007

Arte

Qui uno speciale della tv franco tedesca Arte, girato in occasione di Lucca comics 2006.

Intanto la musica si prende tutte le mie giornate.
Mi ero dimenticato di quale meraviglia fosse suonare in una band.

gennaio 05, 2007

La Mecca, le Adidas Torsion ed altre cose.

Sono tornato in Italia. Starò un paio di settimane, poi ripartirò.
Parigi continua a farmi lo stesso effetto. Ringiovanisco e mi rafforzo.
E' un'illusione., naturalmente, ma intanto cammmino. Con tre emme.
E' andata così: una mattina, ero arrabbiato, sono uscito di casa e ho preso a camminare. Mi sono messo le cuffie con la musica e la canzone era Smells like teen spirit dei Nirvana.
Ero arrabbiato e triste e ho preso a camminare con la musica al volume più alto possibile.
Ho percorso tutto Boulevard Ornano e poi Barbes e Magenta e ancora avanti. Molte canzoni dopo mi sono ritrovato in Place de la Republique.
Non me ne ero accorto, ma mi ero fatto, in pratica, a passo veloce, mezza Parigi.

Ho visto un negozio di sport. Sono entrato, mi sono comprato una tuta da ginnastica e un paio di Adidas Torsion, ricordando il consiglio della mia amica Perec.
"Le torsion sono fantastiche!" Mi aveva detto al telefono.

Era vero. Le Adidas Torsion sono la cosa più simile alle scarpe di Paperinik che un bipede possa indossare.
Camminare è diventata la mia passione. Un camminare che è quasi una corsa, a tempo di musica, con gli occhi spalancati su tutto quello che c'è intorno.

Un giorno, tornando dalla mia speedycamminata giornaliera sono passato da un incrocio a Barbes, un quartiere popolato in maggioranza da magrebini. Non so che giorno fosse e non ho fatto caso all'ora, ma c'erano queste tre strade che si incorciavano a fare una Y e in ogni strada (due di queste salivano in salita e sfumavano nella luce bianchina) c'erano centinaia di uomini in preghiera. Erano inginocchiati sull'asfalto, con le scarpe accanto, tutti orientati nella stessa direzione.
Credo che in quella direzione, più avanti, si trovi La Mecca.


La mia casa piccola è bellissima. Full Ikea, naturalmente, se si esclude un mobile per la testa del letto che mi sono fatto costruire su misura da un preciso Antillano.
La casa piccola ha una finestra grande, dalla quale entra una luce che acceca, al primo mattino. Si vede Boulevard Ornano, dalla finestra e le case all'altro lato della strada, con le finestre senza scuri e le persone all'interno. Io cerco sempre di vedere donne nude, ma non ce ne sono. Ci sono due bambini neri che corrono per le stanze, in uno degli appartamenti, piccolini e buffi. Corrono, spariscono da una finestra e riappaiono in un'altra. E c'è un signore che tutte le mattine, verso le dieci e mezza esce sul balcone che da sul Boulevard, ha una vestaglia arancione, imbottita. va sul balcone e fuma.
Una ragazza pranza vicino ad una finestra, non ho capito se ha le gambe cortissime o se mangia seduta per terra.

A Parigi vado in giro vestito da imbecille, con un cappello da scemo. Nessuno mi guarda, è una cosa fantastica. Solo un algerino, che ha un banco del mercato a Port De Clignancourt mi chiama "Camorra". Credo che sia colpa dell'abbinamento tuta da ginnastica, giacca di pelle e cappello da Rocky Secco.
Camorra, non Mafia. Probabilmente c'è stato un sorpasso nell'immaginazione.

Pian piano ricomincio a disegnare. Qui potete vedere i primi schizzi delle cose che cominciano a muoversi nella mia testina.

E poi c'è la musica, che mi ha riportato in Italia.
Un progetto di canzoni che forse, stavolta, si concretizzerà.
Altre notizie più avanti.

Sul blog di Igort potete invece vedere la prima parte di una serie di video chiacchierate realizzate dall'amico Massimo Colella.
Ce ne saranno altre.


Una cosa: il caro Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, mi ha chiesto un editoriale per l'anno nuovo.
Potete leggerlo qui accanto.
Se ancora non lo state facendo, comprate Internazionale. Fa bene.

Infine, due righe per ringraziare tutti quelli che hanno voluto salutarmi ed esprimere affetto, su queste pagine e nelle lettere private, in occasione della mia partenza.
A Parigi non ho ancora internet e non ho potuto rispondere alle lettere, adesso ne ho una tonnellata in fila, e non so se troverò abbastanza parole per rispondere a tutti come si deve.
Se non dovessi farcela, ringrazio da qui.
Baci a tutti.