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Erano mesi che non disegnavo così, tanto per farlo. Il vecchio piacere di star gobbo al tavolino. Carta. Penna. Erano mesi che non c'era.
Ne ho disegnato un altro.
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Un cipresso. Spero che si capisca.
Un cipresso mentale, comunque.
Poi un altro.
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E una quercia.
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Così sono passate le ore.
C'era una farfallina notturna che si era bruciata un braccio (si, un braccio) alla lampada del disegno e cercava di riprendersi sul foglio.
Aveva colori tenui e perfetti. Srotolava una proboscide niente male.
Se non fosse che sono mezzo cecato avrei continuato a fare alberi e foglioline tutta la notte, con la farfallina accanto alla mano (sopra, spesso)..
Poi è arrivato lui.
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Lui taglia gli alberi.
L'ho capito subito. Dalla faccia.
Queste sono le sue motoseghe mentali.
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La piccola. Qui sopra.
E la grande. Qui sotto.
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Mentre disegnavo ho visto l'uomo con la motosega andare in cerca di ogni possibile albero.
L'ho immaginato ottuso. Inarrestabile.
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L'ho immaginato in cammino, a grandi falcate ciondoloni, alla ricerca degli alberi più antichi, più floridi, per abbatterli.
Ma anche dei secchi.
Non credo che per lui faccia differenza.
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L'ho visto muto in un campo.
Mi sono chiesto se fosse pagato da qualcuno.
Se avesse un rimborso spese per la benzina della motosega.
L'ho immaginato contrariato, forse proprio per la questione del rimborso spese. Burocraticamente contrariato.
E poi ho cominciato a immaginare i dialoghi degli alberi spaventati.
Le loro richieste di pietà.
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A quel punto le cose erano due (anzi tre). O ero pazzo o avevo una storia per le mani.
Naturalmente la verità stava nella terza opzione:
Ero pazzo ed avevo una storia per le mani.
Aggiornamento 18 Luglio.
Non ci tengo a ospitare le battaglie tra proMe e antiMe quindi ho chiuso i commenti a questo post.
Un ebete anonimo ha immediatamente lasciato un messaggio in un altro articolo di queste pagine: "Censura anche qui", ha scritto.
Ad esso vorrei dire quello che diceva mio padre al suo figlio lavativo: "Ti ci vorrebbe un po' di guerra, ti ci vorrebbe."