gennaio 25, 2006

Aaaaangouleme!


In questo disegno ci siamo io e la mia fidanzata in volo verso la Francia.
Lei non ha mai volato ed io, essendo uno psicotico, non potevo privarmi della fobia del volo.

Purtroppo questo è l'anno in cui ho deciso di togliermi tutte le paure maggiori (quella del dentista è andata) e ora, inevitabilmente, tocca all'aereo.

Sarò al festival di Angouleme, per tre giorni, dove concorrerò per il premio del miglior libro e ritirerò il premio Goscinny.
Poi Parigi, per dediche ed incontri con lettori, editori e librai.

Parigi, se ancora qualcuno non lo sapesse, è una meraviglia e val bene un attacco di panico.

Tornerò in Italia il 3 febbraio (previa sopravvivenza al permanere in un oggetto di metallo sospeso in aria).
Fino ad allora, naturalmente niente aggiornamenti o risposte ai post.
Arrivederci.

Aaaaaangouleme!
Ce dessin représente ma fiancée et moi en vol pour la France. Elle n'a jamais pris l'avion et moi, en bon psychotique, je ne pouvais éviter la phobie
de l'avion.

Malheureusement cette année j'ai décidé de vaincre mes principales peurs (celle du dentiste est déjà réglée) et maintenant, inévitablement, c'est au tour de l'avion.

Je serai au festival d'Angoulême, pour trois jours, où je concours pour le prix du meilleur album et où je recevrai le prix Goscinny.
Puis direction Paris, pour des dédicaces et des rencontres avec des lecteurs, éditeurs et libraires.

Paris, au cas où quelqu'un ne le saurait toujours pas, est une merveille et vaut bien une crise de panique.

Je rentrerai en Italie le 3 février (à condition de survivre au séjour dans un objet métalique en suspendu dans les airs).
D'ici là, il n'y aura évidemment pas de mise à jour ou réponse aux post.
Au revoir.

gennaio 18, 2006

Post tecnico

La prima cosa è il bisogno.
Arriva il bisogno di scrivere una storia. A volte questo bisogno si manifesta con una frase, uno scambio di battute che mi sento nelle orecchie e che spesso mi paiono pronunciate (inventate) da altri e meritorie di essere appuntate.
La scrittura avviene così: racconto quello che vedo e scrivo quello che sento.
Queste prime frasi, quelle del bisogno o dell'impressione, le scrivo male. Spesso non riesco neppure a dargli una forma corretta. Probabilmente risulterebbero incomprensibili ad altri. Comunque: spesso le scrivo su un agendina. Le scrivo in modo disordinato perchè l'unica cosa che conta, per me, in quel momento, è la velocità. Devo mettere giù le parole prima che scappino.

Altre volte, queste parole che sento sono così nitide che scrivo direttamente al computer. Prendo il programma che uso per lavorare alle sceneggiature (Final Draft) e scrivo subito in forma definitiva.
Dialoghi e personaggi e descrizioni, escono naturalmente. I personaggi non hanno mai un nome in questa fase. Più avanti se ne guadagneranno uno.

Quel momento è un miracolo. Per quanto mi riguarda, vale tutto il mestiere. Scrivere di getto, raccontando quello che appare negli occhi e le frasi che arrivano nelle orecchie è una cosa meravigliosa.
In quel momento divento persona differente dall'insicuro bipede che sono di solito. Sono sinceramente felice e mi sento fortissimo.

Poi smetto di scrivere.
Rileggo il giorno dopo. Spesso rabbrividisco per l'inconcludenza delle cose messe giù. Ci resto male. Mi domando come avesse potuto entusiasmarmi simile delirio. Capita spesso.

Altre volte succede il contraro: in pochi minuti di lettura torno nella condizione iniziale. Riprendo il filo del discorso e aggiusto la scrittura, le descrizioni si fanno più nitide. I personaggi vengono battezzati.
Quando questo succede, solitamente , è perchè la storia è nata da un bisogno profondo. Roba che sta da qualche parte, nascosta, spesso mimetizzata o camuffata da sentimenti diversi.
Ma se riprendo la storia e la porto avanti con convinzione, vuole dire che quel bisogno c'è. E prima o poi si chiarirà.
Fino ad ora le cose sono sempre andate così.

La cosa importante è che devo assolutamente individuare l'origine del bisogno. Mi serve per sapere di cosa sto parlando. Se vale davvero la pena, e dove andrò a finire. Il finale della storia (per esempio) sta proprio nell'origine di quel bisogno.
Basta filosofie. Inizia il lavoro vero.

La scrittura al computer genera una sceneggiatura in forma cinematografica. (Vedi foto).
Questo testo riporta tutti i dialoghi, le locazioni dove si svolgono le scene e delle descrizioni di azione e ambiente.
Queste descrizioni, a onor del vero, sono minime, perchè scrivo per me e so cosa dovrà starci. In una normale sceneggiatura da girare ad altri farei descrizioni più accurate.

Al momento di portare il testo nella storia, di passare insomma, alle pagine a fumetti, accade sempre la stessa cosa: mi accorgo di aver scritto troppo. E' come se, in fase di scrittura, dimenticassi la forza del disegno. Per quanto cerchi sempre di tenere al minimo il linguaggio e reciti a voce alta TUTTE le battute dei personaggi e le riscriva fino a quando non suonano in bocca in modo naturale, quando passo alla pagina disegnata c'è sempre troppa roba tra le scatole.

Allora faccio questo: prendo un agenda. Numero le pagine come se fossero quelle del libro che sarà. Sfoglio le pagine immaginando quello che ci starà dentro, pensando alle varie parti della storia, alle succeessioni degli eventi, e scrivo brevi appunti e battute sulle pagine, nel posto dove dovranno stare alla fine.
Spesso riscrivo nuovamente i dialoghi. E' come se il ritmo delle pagine sfogliate, portasse un nuovo piano che richiede modifiche e sottrazioni.
Alla fine mi trovo con una specie di "simulacro" del libro. Con tante cose scritte a penna e cancellature e gran macello. (vedi foto)

Con questo simulacro, e le pagine di sceneggiatura più accurate, inizio a disegnare.
Solitamente parto subito sulla pagina definitiva, ma se la sequenza da fare è complicata o lo spazio è poco e devo dosare bene le scene e i dialoghi, mi faccio uno schemino. Una specie di storyboard della scena corrente, di quarta categoria. (vedi foto).
La pistola che sta nell'immagine è una replica. Mi serviva, durante la lavorazione di "Hanno ritrovato la macchina" e così è finita nelle fotografie.

Il barattolo di plastica è invece uno dei numerosi "cimiteri dei pennarelli" che mi tengo intorno. Il pennarello vivo è quello sulla pagina. Uso quel tipo di penna per il disegno a tratto sottile (Appunti per una storia di guerra, Questa è la stanza) e in generale, per la scrittura dei testi nei balloon. Questi pennarelli hanno la caratteristica di cadere SEMPRE di punta quando precipitano dal tavolo (1 ogni due minuti in media).

Questo è il materiale che uso per disegnare. Al completo.
L'agenda è quella di cui ho parlato. Il simulacro.
Lapis e mine hanno poca importanza. Qualsiasi matita non dura va bene e neppure troppo morbida, altrimenti rischio di impantanarmi l'aquarello.
La carta è la famosa Moulin Du Coq "Le Bleu". Introvabile in Italia e fantastica a mio avviso.

Il Phon serve per asciugare l'acquarello in tempi rapidi.
Utile se si deve andare MOLTO veloci. Le pastiglie della foto sono antibiotici e dato che sono sempre malato, non mancano mai.
Pennello di martora marca sconosciuta. Grande abbastanza da tenere tanto colore ma con una buona punta, per poter lavorare i dettagli.
Una gomma, una gomma pane. Un colore aquarello Grigio di Payne marca BlockX.
Pure questi non riesco a trovarli in Italia. Sono i migliori acquarelli che abbia mai usato e il grande formato permette di avere tanto colore a disposizione e poter contrastare la tendenza alla "eccessiva leggerezza" tipica dell'acquarello mediocre.

Per il formato delle pagine da fare, dato che sono pigro, mi ritaglio una forma di cartone che poi uso come "formina" per fare i quadri delle pagine da disegnare. (E' quel pezzo di cartoncino giallo sotto al materiale).

Questo sono io al lavoro.
Con il pennello ho fatto il tratto nero e metto giù il tono di grigio ad acquarello. In "Hanno ritrovato la macchina" ho usato questa tecnica, ma ce ne sono altre, con altre priorità di lavorazione.
In "Questa è la stanza" dove il disegno a tratto è spesso fatto di getto, il segno del pennarello sottile era la prima cosa ad andare sulla carta. L'acquarello, sovrapponendosi scioglieva il colore, sbafandolo e facendo sporchini che, in quel momento, pensavo fossero utili alla storia.

Quello dove sono riflesso è lo specchietto di Vespa modificato che utilizzo per fare/guardare le espressioni dei personaggi.
E quest'ultima fotografia ritrae la tavola in lavorazione, con Phon al massimo volume per accorciare i tempi.
Questo è tutto, per quanto riguarda il post tecnico.
Credo di aver omesso un sacco di cose ed essermi dilungato su cose di poco conto.
Fate domande se siete interessati ad avere dei chiarimenti.

Post technique

La première chose est le besoin.
Le besoin d'écrire une histoire se révèle. Parfois ce besoin apparaît sous forme d'une phrase ou d'un dialogue que j'entend dans mes oreilles et qui me semble souvent prononcé (inventé) par d'autres et mérite d'être épinglé.
L'écriture se déroule comme ceci : je raconte ce que je vois et j'écris ce que je ressens. Ces premières phrases, celles du besoin ou de l'impression, je les écris mal. Souvent, je ne réussi même pas à leur donner une forme correcte. Probablement qu'elles seraient incompréhensibles pour d'autres.
Peu importe. Je les écris souvent dans un cahier ; de manière désordonnée car la seule chose qui compte à ce moment, c'est la rapidité. Je dois écrire les mots avant qu'ils ne s'échappent.

(photo)

D'autres fois, les mots que j'entends sont à ce point limpides que j'écris directement à l'ordinateur. J'emploie le programme que j'utilise pour travailler sur les scénario (Final Draft) et j'écris directement la version finale.
Les dialogues, personnages et descriptions arrivent naturellement. Les personnages n'ont jamais besoin d'un nom durant cette phase. Ils le gagneront plus tard.

Ce moment-là est miraculeux. En ce qui me concerne, mon métier pourrait se résumer à cela. Écrire d'un seul jet, en racontant ce qui apparaît dans les yeux et les phrases qui arrivent aux oreilles est une chose merveilleuse.
Dans ces moments-là je deviens une personne différente du bipède maladroit que je suis d'habitude. Je suis sincèrement heureux et je me sens extrêmement fort.

Puis j'arrête d'écrire.
Le lendemain je relis. Je raccourcis souvent car ce qui est écrit ne mène à rien. Dans ces cas là, je me sens mal et me demande comment j'ai pu m'enthousiasmer pour un délire pareil. Cela arrive souvent.

D'autres fois, c'est le contraire qui arrive : après quelques minutes de lecture, je retrouve les conditions initiales. Je reprend le fil du texte et j'ajuste l'écriture, les descriptions se font plus claires. Les personnages reçoivent alors leurs noms. Quand cela arrive, en général, c'est parce que l'histoire est née d'un besoin profond. De quelque chose qui se trouve quelque part, caché, souvent camouflé par des sentiments divers.

Mais si je reprend l'histoire et que je la continue avec conviction, cela veut dire que le besoin existe. Et cela s'éclaircira plus ou moins tard.
Jusqu'à aujourd'hui, ça s'est toujours déroulé comme cela.

La chose importante est que je dois absolument isoler l'origine du besoin.
Cela m'est utile pour savoir de quoi je suis en train de parler, si cela vaut vraiment la peine, et où cela finira. Par exemple, la fin de l'histoire se trouve exactement à l'origine de ce besoin.
Assez de philosophie, maintenant commence le vrai travail.

(photo)

L'écriture à l'ordinateur génère un scénario de type cinématographique (voir la photo).
Dans ce texte se trouvent tous les dialogues, les lieux où se déroulent les évènements et des descriptions des actions, de l'ambiance.
Ces descriptions, pour être honnête, sont minimalistes car j'écris pour moi et je sais ce qu'il devra s'y trouver. Dans un scénario normal, destiné à être filmé par d'autres, je ferais des descriptions plus précises.

Au moment de transposer le texte en histoire, c'est-à-dire au moment de passer à la bande dessinée, il se passe toujours la même chose : je me rends compte avoir trop écrit. C'est comme si, lors de la phase d'écriture, j'oubliais la force du dessin.
Quand on cherche tout le temps à suivre fidèlement le langage et les actions et TOUS les dialogues des personnages, on finit par les réécrire à un point
tel qu'ils deviennent artificiels. Et quand je passe alors au dessin, j'ai trop d'éléments en mains.

(photo)

Alors, je prend un cahier et numérote les pages comme si elles étaient celles du livre terminé. Je feuillette les pages en imaginant ce qui s'y trouvera, en pensant aux diverses parties de l'histoire, aux successions des évènements, et j'écris des notes brèves et des phrases sur les pages, à l'endroit où elles devront se trouver à la fin.
Je réécris souvent les dialogues. C'est comme si le rythme du feuillettement des pages apportait un nouveau niveau qui demande des modifications et des allègements. A la fin je me retrouve avec une espèce de squelette du livre.
Avec énormément de choses écrites au stylo, puis barrées, bref une boucherie.
(voir la photo)

Avec ce squelette et les pages de scénario plus précis, je commence à dessiner. En général je débute directement la version définitive, mais si la séquence à produire est compliquée ou si il y a peu d'espace et que je dois bien doser les scènes et les dialogues, je me fais un schéma. Une sorte de storyboard de la scène en cours, de très mauvaise qualité (voir la photo).
Le revolver qui se trouve sur la photo est une copie. Il m'a servit pour "Ils ont retrouvé la voiture" et c'est pourquoi on le retrouve sur les photos.

Le pot en plastique est un de mes nombreux "cimetières des stylo à bille". Le seul stylo à bille vivant est celui qui se trouve sur le cahier. J'utilise ce genre de stylo pour les dessins qui nécessitent un trait fin ("Notes pour une histoire de guerre", "Le local") et pour écrire les textes des phylactères en général. Ils ont la propriété de TOUJOURS tomber sur la pointe quand ils glissent de la table (ce qui arrive toutes les deux minutes en moyenne).

(photo)

Voilà le matériel que j'utilise pour dessiner au complet.
Le cahier et celui dont j'ai parlé : le "squelette". Le crayon a peu d'importance : toute mine non dure me satisfait ; elle ne doit pas non plus être trop grasse sinon elle risque de se diluer dans l'aquarelle. J'utilise le papier Moulin Du Coq "Le Bleu", très connu. Introuvable en Italie mais
fantastique, selon moi.

Le sèche cheveux sert à sécher l'aquarelle rapidement. C'est utile si je dois être TRÈS rapide. Les pilules sont des antibiotiques : comme je suis toujours malade, c'est souvent utile.

Pinceau en poils de martre de marque inconnue. Assez grand pour contenir beaucoup de peinture mais avec une belle pointe, pour pouvoir travailler les détails.
Une gomme et une gomme mie de pain. De l'aquarelle "Gris de Payne" de marque BlockX, que je ne trouve pas non plus en Italie. Ce sont les meilleures aquarelles que j'ai utilisées dans ma vie et le grand format permet d'avoir beaucoup de couleurs à disposition et de pouvoir contrecarrer la "légèreté excessive" typique de l'aquarelle de mauvaise qualité.

Comme je suis paresseux, je découpe un carton du format des pages à faire, et je l'utilise ensuite comme modèle pour délimiter les pages à dessiner (c'est le morceau de carton jaune qui se trouve sous le reste).

(photo)

Me voici au travail.
J'ai fait le trait noir avec le pinceau et je suis en train de mettre des tons de gris à l'aquarelle. J'ai utilisé cette technique pour "Ils ont retrouvé la voiture", mais il y en a d'autres qui permettent de mettre en avant d'autres aspects.
Dans "Le local", où le dessin a souvent été fait d'un seul jet, je faisais premièrement les traits au pinceau fin. L'aquarelle, en se superposant, dissolvait la couleur, mangeant et faisant des taches qui (sur le moment même) me semblaient utiles à l'histoire.

(photo)

Ce dans quoi je me reflète est le rétroviseur de Vespa que j'utilise pour faire/regarder les expressions des personnages. Sur cette dernière photo on voit le travail sur la planche, avec le sèche-cheveux au maximum pour gagner du temps.
C'est tout, en ce qui concerne ce post technique.
Je crois avoir oublié un tas de choses et de m'être étendu sur des détails peu importants.
Posez des questions si vous êtes intéressés et voulez des éclaircissements.