giugno 13, 2012

Smettere di fumare fumando


Le cose sono andate così: mi ritrovavo verso le due del pomeriggio con il primo pacchetto di Camel Blu, comprato la mattina alle sette, raggomitolato nel posacenere.
Quindi uscivo, andavo a pranzo stando attento a portarmi cinque euro di carta per la macchinetta.
Dopo mangiato compravo il secondo. Tutti i giorni, al distributore automatico, un rito. La tessera sanitaria, i cinque euro nella fessura pigra e poi inginocchiati! In ginocchio a sentire il rumore del pacchetto che finiva nel cassetto del distributore. La mano quasi morsa nella bocca della verità.
Poi  rialzarsi con le ginocchia a sussurrarmi storie di vecchiaia incombente, strappare il filo sottile trasparente oro e sigaretta. Fiamma.
La prima cicca del secondo pacchetto.
Quel secondo pacchetto, alla mezzanotte, si raggomitolava pure lui, nel cestino della carta.
Quaranta sigarette al giorno.
Questo fumavo. Sulla pelle e nei nervi e nei testicoli ne portavo tutto il peso.
Volevo forse smettere io?
No.
Le cose sono andate così: volevo raccontare una storia. Mi sembrava di non avere più idee, nessuna, da tempo immemorabile. Mi sarei fermato, acchetato in poltrona, cul sul cuscino ad accarezzare il capo dolce dai capelli fini nuovi di mio figlio, se ne avessi avuto uno. Sarei stato là, a guardarlo crescere e imparare andar per la strada sua, stando in disparte, che il tempo mio era fatto. Questo, se avessi avuto un figlio avrei potuto fare. Ma non ne avevo. Avevo solo le storie e la gioia che quel vento, quando tira, mi da.
Volevo una storia ma mi trovavo con il cervello impigrito, digiuno di sacrifici necessari per l'ispirazione. Allora ne ho inventato uno. Ho detto: ideona! Smetto di fumare e filmo tutto quello che succede nel farlo!
Immaginavo che sarei impazzito, avrei dato in escandescenze, perduto il controllo e, con una microcamera, avrei filmato questo disastro, che immaginavo buffo, e ne avrei fatto una storia per immagini.

Questo ho fatto. Per dieci giorni ho filmato tutto quello che mi succedeva, da quaranta sigarette a zero, di colpo.
Mi ero dato una regola: il giorno uno avrei montato tutte le cose girate nel giorno uno. Avrei suonato le musiche, fatto la voce narrante e gli effetti speciali relativi al giorno uno. E il giorno due avrei fatto lo stesso con il materiale girato il giorno due, e avanti così.
Non sapevo dove sarei arrivato o cosa sarebbe successo. Sopratutto non sapevo se sarei riuscito a non fumare.
Sapevo però che in base alla regola data non sarei tornato a modificare il lavoro fatto. Il giorno cinque, per dire, non avrei potuto modificare la voce off del giorno uno, neppure se, una volta riacquistata un minimo di lucidità, mi fossi accorto che faceva cacare.

Nelle storie a fumetti avevo usato spesso stupide regole del genere. Era la prima volta che provavo ad applicarle ad un sistema più complesso come la realizzazione di una storia filmata.

Quello che ne è venuto fuori è una roba molto strana, che a me fa ridere e che mi ricorda pure "la mia vita disegnata male" ma in cinema. Che mi è costato 350 euro e dieci giorni di lavoro più tre di tentativi di migliorare l'audio alla fine. Perché l'audio è veramente una bestiaccia.
Questa cosa, alla fine, mi ha fatto smettere di fumare. Ora sono passati tanti giorni: non ci penso quasi più. Alle sigarette, dico. Non ci penso quasi più.

E' rimasto questo filmino. Dura un'ora e un quarto. Si intitola "Smettere di fumare fumando".





marzo 25, 2012

La scemite

La scemite è una malattia meravigliosa che ho avuto spesso in passato e dalla quale temevo di essere guarito.
Come funziona? Ti svegli la mattina e ti dimentichi l'età, le cose da pagare, tutti i guai, i doveri, non hai alcuna remora nel lasciarti andare alle parti più stupide del tuo pensiero. E giochi, con quello che ti piace. nel mio caso sono i video stupidi.
Da qualche settimana, sia lodato Joe Pesci, la scemite è tornata. Probabilmente se ne ripartirà e mi ricorderò di avere quasi cinquant'anni ed un sacco di persone intorno che si aspettano che faccia cose (abbastanza) intelligenti.
Intanto però, oggi, ho fatto questo:



marzo 23, 2012

Cercando dio a Rosate (Mi)



Essendo idiota dentro, mentre lavoro alla nuova serie e scrivo e sceneggio etc. etc. mi è venuta fuori questa cosa.
Credo che sia l'effetto di due giorni nella pianura padana senza avere molto da fare.

marzo 16, 2012

S.h.a.d.o


A me fanno schifo i Kinder Delice. Anche gli omogeneizzati al manzo, per dire la verità. Mi piacevano molto quando ero piccolo. Li mangiavo guardando i telefilm di Ufo, seduto sul tappeto, con il comandante Straiker, e quel momento per me, con il mio omogeneizzato al manzo mangiato davanti alla sede centrale della S.H.A.D.O, era il paradiso. Ho provato ad assaggiarli da adulto, per poco non vomito.
Bene. Si è offeso qualcuno?

Michele Serra ha scritto che Twitter gli fa schifo. A me non me ne importa assolutamente niente. Twitter non mi fa più schifo del telefono, o del freno a mano dell'automobile. A volte li uso entrambi, ma non nutro per essi un affetto fraterno e se qualcuno mi dice che odia il freno a mano, non mi offendo. Magari penso: ok bello, ci vediamo su una strada in discesa, a parcheggiare, ma non ne faccio una questione personale.
Oggi molti utilizzatori di Twitter erano inferociti nei confronti di Serra. 
Eppure, sono quasi sicuro, nessuno di loro ha una partecipazione negli utili dell'azienda Twitter e credo che pochi siano pure gli sviluppatori del software in questione. 
Allora perché, noi moderni, difendiamo i prodotti che utilizziamo? Davvero ci identifichiamo in loro tanto da indignarci se qualcuno li disprezza?
E se è così, se diventiamo fratelli di un oggetto,  siamo sicuri che sia una cosa che ci fa bene?

marzo 14, 2012

Mini mini mini trailer

Seguirà un trailerone da sedici minuti, che spero dia l'idea della storia. Intanto questo pezzettino. Un'idea per una serie che ho inventato insieme a Roan Johnson. Abbiamo girato tre giorni con una macchina nuova, una Canon c300, sopratutto per testare metodi e flusso di lavoro.

marzo 12, 2012

Penne a china

Giorni di montaggio sui trailer de "La teoria dei tre colpi". Molto divertente. Serve un mac pro nuovo.
Mercoledì sarò a Cinecittà alla presentazione della nuova Canon C300, con la quale ho girato queste prime parti della serie che spero di riuscire a mettere in piedi.
Presto i trailer saranno disponibili.
Mentre lavoravo mi hanno chiamato da La Repubblica per chiedermi due parole su Moebius. Questo è quello che ho scritto. L'articolo è uscito sul numero di domenica.


Momento uno.
Sono nella mia stanza a disegnare. C’è una grande finestra con una tapparella marrone. La tapparella è aperta ed oltre la siepe si vede la casa dei Rossi. Una villetta dalle pareti bianche, immacolate. In quelle pareti, con Alberto, senza motivo lanceremo delle uova. Ma in altro momento. 
Questo è il momento uno.
Sotto la finestra aperta c’è una scrivania. Un foglio Fabriano A4. Delle matite, delle penne a china. Ho quindici anni. Quella finestra sta nella mia camera. nella casa dei miei genitori. C’è un armadio pieno di disegni. Li abbiamo fatti io e Alberto. Alberto è più bravo di me. Tempo dopo smetterà di disegnare per non farmi soffrire.
Le penne a china. Tormento. C’è un negozio di materiali da disegno, in centro. Vado, guardo, scelgo le penne a china. Cerco di scoprire un segreto. C’è un disegnatore francese che credo utilizzi quelle penne a china. Io voglio disegnare come lui, o almeno, mettermi tecnicamente nella stessa condizione. Ho quindici anni e, ingenuamente, penso che possa derivare dalla penna usata, anche dalla penna usata, quella capacità.
Torno a casa. Provo le penne. Il tratto in effetti è simile a quello dei disegni del francese. Provo a fare un orizzonte basso in terra desertica. Un personaggio con pantaloni a sbuffo che cammina nei pressi, indossa un cappello lungo in testa, di forma coloniale di colonia di Saturno. Faccio ombreggiature a tratto intermittente. E’ così che fa il francese. Provo a fare lo stesso. Crolla il morale. 
Momento due.
Ho diciassette anni. C’è un disegnatore italiano molto giovane e di incredibile talento, usa lo stesso tipo di ombreggiature del francese, ma poi piega lo stile a mano sua ed i suoi nasi hanno ombre autonome. Lui ci è riuscito. provo. Forse questa nuova penna a china mi potrà aiutare. Niente.
Il francese disegna spesso linee di orizzonte basse, è come se avessimo gli occhi a terra. I piedi dei suoi personaggi, quando non vanno in aria per sconfitta della gravità, aderiscono alla linea di terra. Sono steso a guardare quei piedi. I corpi. le mani. Le dita delle mani. le unghie.
Ogni particolare è definito con lo stesso tratto. Credo che sia merito di una penna a china particolare. Non cambia mai spessore. Devo trovare una penna che dia lo stesso risultato. Voglio disegnare come quel francese. Mettermi, almeno, nella stessa condizione tecnica. Che carta usa? Forse usa un pennino?
Ho passato tutta la mia giovinezza di disegnatore in sofferenze e ricerche di questo tipo. La prima ossessione furono i disegni impareggiabili del francese. Quel francese si era dato il nome di Moebius. Solo più tardi venne il cuore di Andrea Pazienza a tormentarmi. Credo che ogni disegnatore abbia combattuto guerre simili. Guerre impossibili contro gli Dei. Guerre d’amore, per lo più. 
Incontrai Pazienza negli anni ottanta. Agli inizi. Scoprii così che Dio aveva gambe e braccia come me. La guerra poteva cominciare. L’amore, il nemico, erano stati identificati. C’era una speranza.
Momento tre.
Quasi venticinque anni dopo. Sono in Francia. Ad Angouleme. Ho vinto un premio prestigioso e senza accorgermene sono già carico di presunzione. Tutti mi trattano bene. Sono in un hotel dove si entra solo con invito. A un tavolino, vicino a me, c’è Joann Sfar, un grande disegnatore francese, giovane. Una vera star, nel suo paese. Arriva un uomo di una certa età, un signore dall’aspetto gracile e raffinato. Si siede al tavolo con il giovane autore che non nasconde il suo piacere per l’onore ricevuto.
Il giovane Sfar mi chiama. Il mio francese è appena nato ma capisco. Mi fa sedere al tavolo con lui ed il signore anziano. Il signore anziano è Moebius.
Lui era Dio per me. Voglio che lo sappia. Non so come dirlo, non in francese. Lo dico in italiano.
Che cosa brutta: “Era” Dio. Era? Forse che Dio può avere una scadenza, passare di moda? Essere superato? Ho appena vinto un premio prestigioso e la vanità, senza che me ne accorga, ha già cominciato a masticarmi l’anima. 
Sfar mi chiede un disegno su un agenda. Devo disegnare qualcosa, davanti a Moebius. Davanti a Dio. Grande imbarazzo. Ma sarò anch’io una star, un giorno. Ho vinto un premio prestigioso. Vanità.
Disegno quindi, con una penna sottile che non è a china ma da un risultato simile. Ho questo stile di disegno, rappresento ogni parte dell’immagine con la stessa dimensione di tratto. L’uomo anziano, al tavolino, lo faceva quando avevo quindici anni. Adesso io ne ho più di quaranta.
Faccio questo disegno, un personaggio del libro che mi ha fatto guadagnare il premio. Moebius mi guarda e sorride. L’agenda di Sfar ha una carta terribile, dove l’inchiostro non s’attacca e genera spiacevolissime goccette in testa e in coda ad ogni tratto. Lo maledico, dentro di me. E poi mi trema un po’ la mano, perché è mattina, ho fatto colazione da poco e ho ancora sonno. Devo mettere gli occhiali.
Sto facendo un esame con Dio. Il personaggio fuma. Tiene la sigaretta alla bocca e aspira una boccata. Disegno mignolo e anulare quasi attaccati, per qualche motivo di stile che non so spiegare non disegno divisione tra queste due dita, mignolo e anulare sono una forma sola, per lo stesso vizio di stile non metto le unghie a queste due dita. Ecco. Una striscia di fumo dalla sigaretta fino al bordo della pagina e il disegno è finito. 
Dio lo guarda, prende la mia penna, sorride ed aggiunge sul foglio le unghie mancanti.
Poi dice qualcosa in francese, che non capisco, ma sorrido. Falso.
Dentro di me la vanità, innescata da quel maledetto premio prestigioso mi suggerisce che un vecchio ha fatto le unghie al mio disegno, perché quel vecchio ha uno stile antico, sorpassato, che ignora il mondo contemporaneo, che si è scollato, che ha avuto il suo momento di gloria e che è passato, e guarda come si manifesta, sulla carta, la sua distanza: due unghie dove non ce ne sarebbe alcun bisogno. Chi ha necessità di quel dettaglio? Cosa racconta? cosa aggiunge? Il mondo è cambiato e adesso siamo noi giovani a dettare le regole, a creare gli stili. Vanità.
Momento quattro.
C’è un ragazzo a un tavolo da disegno: Per qualche motivo ignoto il suo cuore l’ha portato al foglio, lasciando l’xbox per un poco almeno, da parte. Non sta scrivendo il suo stato su facebook. Sta disegnando. Ha comprato una penna nuova. Ha un libro che gli ha dato qualcuno, il libro di un disegnatore francese con delle tavole di una bellezza accecante. Non si riesce quasi a tenerci gli occhi sopra. Fissare lo sguardo ad un singolo disegno è difficile. Quella bellezza respinge e spinge avanti. Poco male, comunque, è un fumetto. Dopo un disegno ce n’è un altro.
Il ragazzo guarda e si sofferma sulla mano di un personaggio che per qualche motivo si è librato a mezz’aria. Lo si vede da un punto di vista basso sul terreno. Da una prospettiva che il ragazzo non può che definire “difficilissima” si vedono le suole degli stivali, lo scorcio del viso e la testa con un cappello da coloniale di Saturno. Le mani hanno anatomie perfette, le dita sono in posizione sospesa, a suggerire movimento, per sempre. Alla cima delle dita ci sono unghie ben definite. Il ragazzo prova a rifarle. Non riesce. Soffre e l’xbox lo chiama come una sirena senza pensieri. Ma lui resta al tavolo da disegno. Ci riprova. Ama quel disegnatore francese. Tutto quel talento, lo ama tanto da detestarlo con tutto il cuore. Un giorno. Continuando a provare. Un giorno riuscirà.


marzo 02, 2012

Io e Penco

Sabato 3 marzo (domani, per lo scrivente) alle 12,30 alla libreria delle Moline (via delle Moline 3, Bologna) sarò a presentare il nuovo libro di Michele Penco, "Racconti azzurri".
Michele è bravissimo e troverete una mostra dei suoi originali, che sono roba da levar il fiato. 
Quindi, venite.

marzo 01, 2012

La Teoria dei tre colpi

Un giorno ho scritto una lettera ad una ditta che noleggia apparecchiature cinematografiche, a Milano. Volevo provare a girare delle cose con una digitale seria, con un rig serio e degli obiettivi seri. Ho fatto due conti, potevo affittare le cose per due o tre giorni. Volevo fare un esperimento. Un cinemino leggero, di rapida messa in moto e di costi bassi.
Però sono un ragazzo fortunato ed alla mia lettera è arrivata la risposta di una persona che conosceva il mio lavoro ed abbiamo cominciato a parlare. Ci siamo incontrati ed abbiamo fatto amicizia.
Qualche settimana più tardi stavo andando a Roma a portare una sceneggiatura a Fandango. In treno ho avuto un'idea per una serie a puntate. A Roma, ho pranzato con il mio amico Roan Johnson, gli ho raccontato l'idea e mentre gli zucchini cuocevano ci siamo messi ad inventare e raffinare la storia.
La Teoria dei tre colpi era il titolo provvisorio. Ma sta ancora là.
Le persone di Milano alle quali avevo scritto la lettera sono venute da Milano, con una Canon C300 e un set di obiettivi Zeiss compact Prime (questo lo specifico per i maniaci come me).
In verità avevano un furgone pieno di attrezzatura. Una piccola troupe.
Ho mobilitato tutte le persone di buona volontà che conosco in zona. Ho chiamato Gabriele Spinelli (L'ultimo terrestre) e Lino Musella, un giovane, bravissimo, attore napoletano. Gli ho raccontato la storia, ho spiegato che non c'era una lira e tutto il contorno.
Abbiamo girato per tre giorni, una specie di trailer, scene da vari momenti della storia. Un test tecnico e artistico. Un esperimento di autoproduzione.

Finalmente la macchina da presa l'ho tenuta in mano io. Non potevo proprio più farne a meno. Per me è stato strano scrivere il primo film e non maneggiare la cinepresa. Era come far disegnare ad un altro, oppure conquistare una bella ragazza e poi al momento di farci l'amore, chiamare un altro, che magari sarà pure più bravo, però, insomma..
E questo non ha niente a che vedere con la qualità dell'operatore, anche perchè il mio sul film, era splendido. E' proprio una questione di taglio e di stile, oppure una cosa sessuale, fate voi.
In questi giorni ho montato il trailer. Una specie di riassunto di tredici minuti. Sono molto contento. Presto sarà disponibile per la visione. Intanto alcune immagini.

febbraio 20, 2012

Filmini

Sabato cominciamo a girare. 
Che cosa? Forse non importa neppure.
C'è stato un tempo in cui mi bastava mettere le mani su una videocamerina x per non sentire più il mal di schiena. Una volta mi è stato fatto presente che era agosto, c'erano 40 gradi e io stavo sotto il sole da sei ore, sul cemento di una stazione. Non me n'ero accorto: avevo una videocamerina x in mano (una Canon xl1 per gli appassionati) e mi sembrava la cosa più bella da tenere in mano, se si escludono parti anatomiche umane. 
E' successo lo stesso (il contrario), un'altra volta.  Su un tetto, a gennaio, e c'era un microfono che congelava appena lo lasciavo sulle tegole, da solo.
C'erano anche due amici avvolti in delle coperte e nel girato si vede e si sente tutto il freddo che avevano.

Insomma c'è stato un tempo in cui mi divertivo, e tanto, a filmare le cose. Era un gioco, fatto con mezzi zero e tutta la serietà possibile, come si deve fare, secondo me, quando si gioca.
Con una mia cara amica che non c'è più, a volte parlavamo di questo, di come fosse bello fare "i filmini". 

Poi queste cose le ho dimenticate, perché uno invecchia a tradimento, proprio quando è convinto che non stia accadendo. Ti dici solo che "le cose sono cambiate" ma in realtà quello cambiato sei tu. E pensi di essere diventato più serio e invece hai solo fatto un passetto verso il posto dove non ci si diverte più.

Sabato arriverà una troupe di coraggiosi volontari da Milano. Avremo una bella attrezzatura: una Canon C300 appena sfornata e tutte le ottiche Zeiss necessarie, ed i rig per maneggiarla. Pure un fonico volontario. Un miracolo.

Ci saranno due attori molto bravi, che hanno ricevuto solo una mezza pagina di sceneggiatura senza dialoghi  dove gli viene raccontato, più o meno, chi saranno per tre giorni. Improvviseranno. Nella scena hanno i loro nomi, Gabriele e Lino. i personaggi, intendo, hanno i loro nomi. Ci saranno gli amici che da sempre mi affiancano in ogni pazzia economicamente fallimentare.

Gireremo scene slegate tra loro, alcune su un lago, altre in un edificio abbandonato, in una stazione,  e non abbiamo permessi e temiamo che ci venga a prendere la polizia. A loro dovremo spiegare (e bene) che stiamo solo giocando.

Scopo del gioco è girare una seria a puntate. Una roba vicina ai marciapiedi, come direbbe quella che fu Loredana Bertè. 
Questa prima parte è una specie di trailer, un test tecnico delle attrezzature ed anche un check di compatibilità umana tra me e gli altri commandos che si sono voluti affiancare a questa operazione.
Perché a dirigere saremo in due: io e Roan Johnson
Roan è un pisano anche lui, anche se non sembra. Ha fatto un film uscito da poco: I primi della lista

Naturalmente ci sarà da spendere soldi, perché le persone che lavorano devono mangiare e dormire e mettere benzina, quindi alla fine del gioco non avrò più un euro in banca, ma questo è già successo altre volte.

Però abbiamo una storia da raccontare, degli attori bravi e dei commandos. In teoria dovremmo essere a posto.
Però se ci fate gli auguri siamo contenti.

Altro:
Visto che qui c'erano delle righe vuote ne approfitto per fare i complimenti ai Taviani's Brothers. Che vinsero a Berlino un premio prestigioso. Ed anche a Vicari e Fandango che con Diaz si sono portati a casa il premio del pubblico. 

febbraio 16, 2012

Ioedio

Era da tanto che non leggevo i dieci comandamenti. Se non fossi finito in una trasmissione radio, come ospite, per errore, con la trasmissione di Sanremo in diretta davanti a me, solo due giorni fa, non credo che lo avrei fatto, neppure oggi.
Ma a Sanremo quest'anno Dio si porta moltissimo. Non solo a Sanremo, naturalmente. E' mia personale opinione  che presto ci troveremo a trasportare grosse pietre da piantare in cerchio, in qualche prato, per erigere dolmen e propiziar gli dei del gratta e vinci però insomma, ero là, seduto vicino alla Cuccarini e c'era Dio un po' dappertutto.
Ed oggi, a distanza di due giorni, è  con i dieci comandamenti in testa che mi sono svegliato. Si. i dieci comandamenti della bibbia. Quelli. Ecco un breve riassunto per i nati dopo lo zero:

Un giorno un tipo va su una montagna e un essere invisibile ma grossissimo e con il vocione gli incide con una specie di dito laser invisibile (ma grossissimo) un ipad di pietra che quest'uomo portava sempre con se. Ecco dieci regole che se sgarri muori.

Così, più o meno, sono nati i dieci comandamenti.
Ad un bambino ics che si avvicini al catechismo verrà spiegato che questi comandamenti recitano così:
(prima che me lo facciate notare: si, tutti questi testi sono copiati da wikipedia.)
Dicevo: dicono così:

1. Non avrai altro Dio all'infuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d'altri.
10. Non desiderare la roba d'altri.

Questa mattina non mi sono svegliato pensando di uccidere qualcuno e quindi infastidito dalla presenza, del comandamento "non uccidere", altre volte è capitato, ma oggi no. Mi sono svegliato pensando a quanto Dio avevo sentito nell'aria nella trasmissione di Sanremo prima serata, mentre ero finito, per sbaglio, in una trasmissione radio dove ero convinto avremmo parlato di cinema.

Oddio: quanto dio avevo sentito nell'aria
E' un modo brutto di dirlo, sembra un profumo, un odor di santità, non era così. 
Dio era nell'aria come una canzonetta, un motivetto, un "trend" (e non userò mai più questa parola per tutta la vita, Dio, te lo giuro, fulminami col tuo ditone laser se dovessi ricaderci!).

Dio era presente in testi di canzoni, nelle parole del cantante conduttore, sottolineato dalle partecipi ovazioni del pubblico pagante, quando veniva citato. 
"Dio c'è" recitavano scritte storiche su centinaia di cartelli stradali, quando ero ragazzo, seconde, come diffusione solo ad un enigmatico "Pietro ti amo Mauro" che inquietava le mie notti di ragazzino, lasciandomi per sempre senza risposta: Pietro, a sua volta, amava Mauro? Lo amò mai? O morì Pietro, di dolore per amor mancato dopo aver vergato sui cartelli della penisola intera il nome dell'amato?

E Dio c'era. A Sanremo, questo è sicuro. Lui (Dio, non San Remo) vi direbbe che certo che c'è, è ovunque e io non avrei certo le palle di rispondergli a tono, ma vorrei sottolineare che a Sanremo, l'altra sera, c'era di più. E' per questo che mi sono trovato a pensare ai dieci comandamenti.

Se c'è una cosa che mi piace della religione cattolica moderna è la sua possibilità di customizzazione. Nessuno, io per primo, vorrebbe una religione antiquata come quella professata in molti paesi del medio oriente, o qualche altra roba che implichi dedizione e sacrifici e rigidità. Insomma, siamo nel 2012, l'anno del contatto, non è che possiamo continuare a interpretare le parole di Dio come nel medioevo.
La religione cattolica è fatta per essere customizzata. Nasce così, in quella forma adatta, modulare. Uno dei comandamenti più interessanti, per esempio, è quello che dice "Non nominare il nome di Dio invano".
Questo è uno dei primi esempi di customizzazione religiosa di alto livello, in altre parole una trasformazione del senso di un dettato religioso ai fini di una sua migliore e più efficace utilizzazione in ambito moderno messa in atto non dalla base ma dall'elite religiosa stessa. (Potete respirare).

Insomma, i capi della religione cambiano di loro volontà un comandamento arrivato direttamente dal cielo. Spiegano anche bene perché lo fanno: perché così si capisce meglio.  Come dargli torto? Questa è modernità.

Il comandamento originale infatti recitava "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra."

Questo è stato trasformato in "Non nominare il nome di Dio invano".
Meglio.  Più semplice, conciso, facile da portare. Inoltre, se scelleratamente si fosse scelto di aderire al messaggio originale vergato in laser su retina dispietra non avremmo avuto opere d'arte meravigliose ad arricchire il nostro cuore. Quindi io sto con i pretoni che secoli addietro, decisero di modificare quel comandamento e di permettere ai vari Michelangelo e Bernini di farmi drizzar il pisello ancora oggi, dopo secoli, con i loro lavori. Tank you pretoni, god bless you all.

Insomma, capite? Noi non siamo degli arabi retrogradi! La nostra religione è migliore delle altre. La religione cattolica spacca proprio perché adattabile alla modernità. 
Customizzabile è la parola. 

Un esempio di questo: io. 
"Io " è l'esempio che ho a portata di mano adesso, quindi lo uso. "Io" spesso parlo di Gesù Cristo, figlio dell'omone con vocione etc. 
Parlo di Gesù, rifletto sulle sue parole ed a volte, e pure in pubblico, me le rivendo come esempio da seguire.
Naturalmente mi rivendo quelle che mi piacciono di più, che non generano in me soltanto modiche contraddizioni. Insomma, mi customizzo i contenuti del vangelo a mio piacimento e questo, secondo me, è fico.
Ad esempio, io non riconosco l'esistenza di Dio in cielo, insomma, sono uno di quelli che "non ci credono". Però mi piace Gesù. Naturalmente quando Gesù stesso parla di vita eterna e di essere il figlio di Dio io mi volto dall'altra parte e fischietto, perché a me quella parte lì, uffa, non interessa proprio. Ma mi piace Gesù. E' fico.

Molti ricchi vanno in chiesa, si professano credenti, ma accumulano ricchezze, in culo all'ago e al cammello. Cosa fanno? Sono cattivi? 
No. Semplicemente customizzano la religione. Usano, giustamente solo le parti che gli vanno a genio, che gli stanno giuste. Indossereste voi un abito sette taglie più  stretto o che vi imponesse, per entrarci, di fare settimane di esercizio fisico e rinunzia a cibi succulenti?
Non scherziamo.
Perché dimagrire noi quando possiamo far ingrassare l'abito?
La nostra religione è così. Tessuta nel materiale più elastico che c'è. 
Impermeabile agli scrosci di pioggia del progresso ed al contempo perfettamente mutabile e adattabile. Un materiale tanto simile a quello utilizzato realizzare le tute de Gli Incredibili. Si allunga si accorcia si restringe e può pure diventare invisibile, quando serve.

Così, l'altra sera, vicino alla Cuccarini, in radio, io pensavo a Dio. A quell'essere invisibile e grosso grosso col vocione. Ci pensavo perché dal palco del teatro Ariston me lo tiravano nel muso, non perché c'avessi qualche predisposizione naturale. E' solo che ne parlavano un po' tutti. E tutti ne parlavano bene. 
Il conduttore cantante parlava anche del paradiso. la cosa bella di questo approccio "fai da te " alla religione è che , come in questo esempio, si può parlare di Paradiso (maiuscolo) come di qualcosa che esiste davvero: il "Paradiso". Proprio quello. Con le nuvole e tutte le persone buone che hanno vissuto dall'homo sapiens in poi. 
Ehi. Brutto pensiero.
Non facciamo scherzi. Non ditemi che c'è il rischio di trovarsi in paradiso accanto a degli homo sapiens che non sanno neppure cosa è una saponetta. Non scherziamo. Ritrovarsi in mezzo a degli scimmioni puzzolenti che ti danno una clava in testa e poi ti ingroppano non è proprio la mia idea di paradiso.
Ho divagato.
Si, però la domanda rimane. Gli homo sapiens buoni li ritroveremo in cielo? Ah no, che idiota, tutto quello prima dello zero lo ha preso nel culo. Insomma prima della parola di Gesù, venuto a salvarci, tutto al macero, a parte qualche profeta con le visioni rinchiuso in qualche grotta, tutta sudicia.
Quindi niente fenici o antichi egizi tra i coglioni? 
Meglio.
Barbari. Barbari però si? Ah no, neppure quello perché credevano in qualche dio sasso neanche parlante. Barbari.
Solo persone fighe dunque, in paradiso. io, Frank Zappa, Truffaut, tutti seduti insieme a un tavolino bianco e soffice come quello degli spot del caffè. Figo.
Ho divagato di nuovo.

Si può parlare di Paradiso, dicevo, ma, lo si può  tranquillamente fare negando l'inferno. L'altra sera, a Sanremo era evidente che il conduttore cantante stesse parlando di paradiso e della bellezza di quei paesaggi senza prendere in considerazione l'orrore del suo contrario infernale e la presenza delle leggi ferree che a quel posto "infernale" appunto, possono condannarci, al minimo sgarro.
Perché dico questo?
Il conduttore cantante, ad esempio, è miliardario.  E stando alle parole del figlio dell'ormone con il ditone di laser, un ricco col cazzo che ci mette piede in paradiso. Ma allora, in caso di morte, il conduttore cantante dove andrebbe? A meno di non credere anche agli zombies, (che come religione non sono male neanche loro ma pochissimo customizzabili, insomma, quelli ti mangiano il cervello e stop, non ci sono margini) a meno di non credere anche agli zombies vien da pensare che se credi al paradiso, dopo morto dovresti temere pure  il suo contrario  avendo infranto palesemente alcune leggi fondamentali. Ma questa cosa, semplicemente non succede. Non succede nella mente del conduttore cantante, non nel suo cuore e non nel mio.

E qui sta la grandezza della religione cattolica, non mi stancherò mai di ripeterlo. Prendo il paradiso, perché mi serve per un mio pensiero o un'operazione retorica, e scarto l'inferno. no, grazie, non mi serve, sono a posto così. Nemmeno un girone, tagliato fino? No, grazie davvero.
Scelgo alcune frasi di Gesù, come quelle sulla fratellanza perché mi ispirano e scaldano il cuore e mi fanno sentire buono ma ignoro, senza problemi, decine di altri concetti, la cui applicazione mi metterebbe in seria difficoltà.
Ecco, pensavo a questo oggi. A come sia figa la religione cattolica, a come sia troppo giusto il modo in cui la viviamo, a come ce ne siamo impossessati e fatto guardaroba. A quanto sia ganzo aver tradotto la "spiritualità" in misticismo agile e portabile e a quante cose buone e divertenti potranno venire da questa gioiosa operazione. Anche se ora, al di là della visione di questo prato verde sferzato dal vento, di questi uomini con tuniche druidiche che trasportano pietroni e li piazzano in cerchio e  si mettono a cantare "io sono un italiano, un italiano vero" per ingraziarsi gli dei del gratta e vinci, ecco, a parte questa visione, ad oggi, a questo istante, altre cose buone non ne vedo. Ma arriveranno, vero?






febbraio 14, 2012

Feltrinelli/Roma

Oggi, nel giorno degli innamorati, martedì 14 Febbraio, alle ore 18.00, sarò alla Feltrinelli di Piazza Colonna, a Roma.
Con me ci sarà Francesco Alò, critico e direttore artistico della NUCT Scuola Internazionale Cinema e Televisione.
Ci sarà anche il dv/blu ray de "L'ultimo terrestre".
Nella notte, poi, Radio Due, a Effetto Notte, appunto.

febbraio 11, 2012

L'ultimo terrestre/Critiche.

Aridatece Boldi, aridatece Er Caccola, La Coscialona, Pippone er Madonnaro, Salvatore Segacchione. Aridatece il cinema sincero, il cinema sano e vitale di Sgarzoglini e Bafforosso, le sonore scoregge di Umbertino Tuttobugo, i rutti liberatori di Aldo Mazzatosta, le chiappone di Alba Bellatopa. 
Ve lo chiediamo per favore: Aridateceli.  
"L'ultimo terrestre"?
 Aridatece piuttosto i sonori sciaquoni di "Sciolta a Roma est", le porte e gli spioncini di "La bella maialona si rifà le serrature". 
Aridatece quel cinema sanguigno e vero. 
Cos'altro aggiungere, se non che  quando quel cinema sanguigno e vero era davvero nelle sale, noi scrivevamo l'esatto contrario.
"Cinemapuro.it"

Dopo tanti buonismi, finalmente un film senza negri.
"Il giornale"

Gipi delude perchè questo era il suo momento di deludere, perchè dopo tanti successi noi ritenevamo obbligatorio che ci deludesse e Gipi non ci delude, deludendoci.
Solo una nota positiva per il bravissimo Emanuele Spinello nella parte dell' astronave.
"Tiratura zero".


update:
Una bufala di film. Pretenzioso e gratuitamente violento.
"Cristina Marras"