ottobre 31, 2006

Essendo

Essendo che sono inguaiato con il cervello, mi sono perso l'inaugurazione della mia mostra a Lucca Comics. Non mi ero accorto di essere in ottobre.
Mi dicono essere buona (la mostra).
Uscirà una raccolta di mie storie con "La Repubblica".
Non è più un segreto.
Per i dettagli però dobbiamo aspettare. Per sapere con precisione cosa ci sarà dentro, in via definitiva intendo.
Questa dovrebbe essere la copertina, più o meno finale. L'ho disegnata ieri, anche se , ora come ora, disegnare mi sembra attività impossibile. E non parliamo dello scrivere storie.
Vogliamo parlare dell'abitare il pianeta Terra?
Meglio di no.
Ho fatto l'incontro con il pubblico alla Feltrinelli di Firenze.
Grande imbarazzo, non riuscivo a mettere due parole in fila. Avevo due topini di pelo in mano e antidolorifici in corpo. Roba da Dottor House.
Igort ha salvato al serata, sacrificando il fatto che pure del suo libro avremmo dovuto parlare.
Problemi con il cervello.
Mi dicono che è l'effetto dell'uscita di S. Dicono che è normale.
Speriamo passi, anche se è normale.
Intanto domani inizia Lucca. Disegnare disegnare disegnare.
Se qualcuno di voi, gentili frequentatori di queste pagine, dovesse passare dallo stand Coconino (lo trovate qui) si manifesti, con nome e cognome. Mi farà piacere.

ottobre 24, 2006

Il rito

Il rito comprende il sonno. Lo prevede.
La notte precedente al rito (anche se possiamo dire che questa notte precedente, già appartenga al rito) si deve dormire poco.
Si può realizzare, questa condizione di sonnolenza, in modi diversi.
Il rito però, preferisce i modi peggiori.
Giocare fino alle 4 di mattina ad un gioco al computer è un buon modo. Adatto al rito. Apprezzato.

La mattina del rito il sonno deve essere quasi intollerabile. Così è scritto.
Nel rito, durante il rito, si devono avere comprensibili dubbi sul mezzo di trasporto da utilizzare per recarsi sul luogo del rito.
Per quanto la logica possa suggerire l'utilizzo di mezzi più comodi, per il rito si sceglierà sempre il peggiore. Il più pericoloso, il più faticoso.

Questo mezzo, per il rito in questione, è l'automobile.
Il tratto da percorrere per raggiungere il luogo preposto al rito, porta a Bologna e comprende il passaggio dell'appennino sulla famigerata A1, nello specifico del tratto che separa Barberino del Mugello da Roncobilaccio. Così richiede il rito.

Il rito prevede un primo intoppo sull'autostrada. Mentre ancora si è soltanto in viaggio, ancora intenti a raggiungere, nel modo più faticoso possibile, il luogo del rito.
Il primo intoppo, solitamente è costituito da un ingorgo. Una fila per incidente sul tratto appenninico dell'autostrada, per esempio.
Ma altri intoppi sono ben accetti.

Un ritardo nell'avvio della stampa. Dalle 11 della mattina alle quattro del pomeriggio, è un intoppo ben accolto dagli officianti al rito.
Questo ritardo, come risulterà comprensibile anche ai meno attenti tra noi, vanifica il risveglio in prima mattinata e conferisce al sonno insopportabile presente (precedentemente citato) un tono di beffa.

Per raggiungere il luogo preposto al rito, il rito stesso comporta che non si domandi informazioni sulla strada da percorrere.
Nel rito si entrerà più volte sulla tangenziale in direzione errata.
Se ne uscirà e si rientrerà nuovamente più volte, per poi saltare colpevolmente la giusta uscita. Il rito prevede che si percorra più volte il tratto tra l'uscita 7 e l'uscita 10 della tangenziale che circonda Bologna.

L'uscita corretta, per raggiungere il luogo del rito, è la numero nove. Quella che ha un palo ben piazzato proprio davanti al cartello con su scritto NOVE.
Quel palo, certamente, è stato posizionato in quella precisa et obscurante maniera dagli addetti al rito.
Fa parte del rito.

Il rito è la stampa del libro.
Il libro in questione è "S."

E' la quarta volta che partecipiamo, io e la mia fidanzata. Sono quattro volte dal 2002. Pur con scarsissime basi matematiche, posso dedurre che il rito si svolga, di media, una volta all'anno. Una ulteriore osservazione ne colloca il periodo preferito al principio della brutta stagione.

Per il rito è necessario vestirsi male. Non lavare i capelli.
Questo stato di trascuratezza dovrà essere documentato poi, in fotografia , come attestato di ottemperanza alle regole del rito riguardanti la cura della persona.

Quando il rito avrà inizio, quando la stampa inizierà, si evocheranno i demoni dell'errore.
Gli officianti al rito si consumeranno gli occhi per controllare le prime stampe. Ciò nonostante, dovranno accorgersi di eventuali errori (anche gravissimi) soltanto dopo l'avvio delle macchine da stampa.

In questo caso, oggetto del disastro sarà un singolo accento.
Un accento su una "e". Un accento mancante su una "e" particolare.
Una "e" posta nel punto più importante del racconto contenuto nel libro oggetto del rito.

Questo fa parte del rito.
L'errore più grave dovrà avere la singolare caratteristica di apparire "tanto grave" solo agli occhi dell'autore del libro oggetto del rito.
Agli occhi degli altri officianti al rito, questo errore dovrà risultare insignificante e trascurabile. Si dovrà, quindi, generare una condizione in cui l'autore del libro oggetto del rito dovrà apparire, agli occhi degli altri presenti, come posseduto dai demoni evocati dal rito stesso.
L'autore coinvolto nel rito, se il rito funzionerà come si deve, dovrà trovarsi in conflitto aperto con il resto del mondo per un motivo che soltanto lui comprende.
Dovrà lasciare il luogo preposto al rito. Recitare una litania improvvisata che abbia per contenuto un pianto di cosmica solitudine esistenziale.
In seguito, dovrà rivolgersi al proprio assistente spirituale, riversargli addosso angosce e lamenti. Dovrà maledire se stesso (e il mondo che mai lo assiste e lo abbandona in solitudine) fino a riconoscere nell'errore rivelato dal rito (l'accento sulla "e", in questo caso) l'orrore stesso della condizione umana.
Dovrà tornare al rito, infine. Sacrificato ormai, nel profondo. Siederà al tavolo dove si svolge il rito e mentendo pronuncerà la frase "Non importa. Andiamo avanti. Non fa niente". Per poi avere immediatamente un'altra crisi di nervi.

Allora entrerà il sacerdote.
Il sacerdote del rito, finora , nella mia esperienza, è sempre stato lo stesso.
Il sacerdote è diventato tale per manifesta competenza negli affari legati al rito.
Il sacerdote (che non avrà mai atteggiamenti sacerdatoli, risultando addirittura, agli occhi dei più, come defilato e silente) riuscirà a soddisfare le esigenze di tutti gli officianti al rito.

Nel caso specifico, risolverà la questione dell'accento e calmerà i partecipanti con la sua sola presenza.
Il sacerdote ha un nome segreto.
E' nonno da poco.

Sarà grazie a lui, ed all'appoggio (seppur controvoglia) dell' oligarchia degli officanti alle sue spalle, che il rito potrà avviarsi verso la sua fase finale.

In questa fase, quando le macchine da stampa saranno in pieno regime e gli uomini in blu soltanto parteciperanno al rito, l'autore potrà tornare a casa.
La fidanzata dell'autore del libro oggetto del rito bacerà il gran sacerdote. Lo ringrazierà così, per aver salvato lo spirito del proprio compagno e la lettura del libro oggetto del rito.

Il rito prevede infine che la strada del ritorno sia la medesima dell'andata ma con traffico augmentato.
Durante il ritorno, nella fase conclusiva del rito (almeno per qunto riguarda la figura dell'autore del libro oggetto del rito) ci saranno pensieri ossessivi e si reciterà una litania composta da poche ossessive parole.
Queste parole, in forme di domanda, saranno poste alla fidanzata dell'autore del libro oggetto del rito.
Le frasi saranno ripetute in modo ipnotico per tutta la durata del ritorno a casa, durante le frenate ed il sorpasso dei camion con rimorchio.

Le frasi dovranno essere queste:
"E' buono no? Mi sembra buono. Il libro. Mi sembra buono. Tu che dici? E' buono. Sarà buono? Non è che farà schifo e nessuno ci capirà nulla? Farà schifo? Mi sa che fa schifo. Tu che dici? Fa schifo? O è buono? E' buono no?"

Questo è il rito.
E' sempre stato così.
E, temo, sempre sarà.

ottobre 19, 2006

New York et Florence

Da New York, Luca Sofri, nel suo programma radiofonico "Condor" , in onda su Radio 2, ha parlato di "Appunti per un storia di guerra".
Una bella sorpresa.

Lo potete ascoltare facendo un salto sul sito web di Condor, passando dall'archivio ed aprendo la puntata del 18 ottobre. ( E potete approfittarne per ascoltare anche le altre puntate.)

Il 26 ottobre, invece, (questo è l'annuncio ufficiale) sarò a Firenze, alla libreria Feltrinelli, con il mio amigo Igort, a presentare le nuove edizioni di "5 è il numero perfetto" e "Appunti per una storia di guerra".

Dettagli:
26 ottobre ore 18.00
Firenze
Sede: la Feltrinelli Libreria - via de' Cerretani 30r tel.055.2382652

ottobre 09, 2006

Cose che non farò

Tra le cose che NON farò (meglio chiarire subito, perchè da più parti mi viene domandato) c'è una storia di pirati.
Sto leggendo tanti libri sulla pirateria, alcuni molto belli.
Il tema mi affascina, ma non abbastanza da farci su una storia. Non ora almeno.

Inoltre, mi viene detto, e lo scoprò così perchè abito un tantino isolato, che il mondo del fuckin' intrattenimento è PIENO di pirati. Dai film, ai fumetti, ai giochi elettronici. Bene, è una canzone che mi pare già a posto. Non serve che ci aggiunga altre note, per quanto storte le mie potrebbero essere.
Niente storia di pirati dunque. Non ora, almeno.
Per il futuro, se dovessi rimangiarmi la parola, potremo (mi ci metto anch'io) usare questa intercettazione audio di una conversazione avuta con Matteo Stefanelli e Paolo Interdonato (che non si sentono) per ricattarmi o darmi del cialtrone (non mi dite che parlo come un Bonobo. Lo so già.).

E' vero, però, che di pirati ne ho disegnati. Anche ultimamente. Sono quelli che vedete a corredo di questo testo. Forse sono gli ultimi.

C'erano, invero, delle cose interessanti, nel tema piratesco. Interessanti per me, intendo.
La prima, quella che più mi ha attratto, fin da subito, è la questione dell'aspettativa di vita.
Al momento della scelta (quando di scelta si trattava, almeno) di intraprendere la vita del pirata, questi uomini sapevano che non avrebbero potuto aspettarsi un attesa più lunga di tre anni, prima di finire ammazzati, in combattimento, di malattia, o sulla forca.
Tre anni di libertà, che dovevano sembrare, comunque, un buon argomento da contrapporre all'incubo dell'imbarco su una nave della marina mlitare, in forma di schiavi, in sostanza.
L'altro aspetto è la distruzione dei corpi. La maggioranza dei pirati erano privi di un occhio, di un orecchio, di buona parte delle dita delle mani. I denti erano un bene sconosciuto.
Questa devastazione, comparata al desiderio di perfezione standard odierno, mi piace tanto.
Vaffanculo orecchie. Un occhio mi basta. Sfregiatemi pure.
Questo mi piace. Sono malato, probabilmente.
Diciamo che se un giorno dovessi rimangiarmi il proposito di NON fare una storia di pirati, mi dedicherei ad approfondire questi tre aspetti: La morte come opzione possibile. La libertà anche a costo di disumanizzarsi. La devastazione delle carni.
Credo che, se per caso non mantenessi l'impegno preso, mi troverei a raccontare e disegnare una storia estremamente dura.
Ma non lo farò.
Pare.

L'altra cosa che non farò è unirmi al pianto per l'uccisione della giornalista russa Anna Politkovskaya. Non perchè non pianga anch'io, come tutte le persone di coscienza che conosco. Ma perchè altri hanno scritto dell'argomento in modo intelligente, utile ed esaustivo.
Seguite questi collegamenti alle pagine di Perec, di Babsi Jones e Mirumir per saperne di più.